Poco più di un anno prima che iniziassero
i lavori, il 18 ottobre 1794 a Napoli erano stati afforcati tre
giovani, Emanuele De Deo, Vincenzo Vitaliani e Vincenzo Galiani.
Le idee giansenistiche e massoniche erano sfociate nel più
acceso giacobinismo, proprio da parte di tutti quegli abati col
«bastoncino» che erano intervenuti al funerale di don
Gaetano De Bottis, anche se qualcuno se la squagliò, come
fece il più acceso di tutti, l'abate Jerogades.
Ai sovrani di Napoli non piacevano più i giansenisti e i
massoni. Li avevano incoraggiati e protetti finchè si trattò
di non pagare più la chinea al papa e di cacciare i Gesuiti
dal Regno, come aveva ordinato Carlo III di Spagna con il patto
di famiglia. Specialmente la regina Maria Carolina, la grande protettrice
della massoneria, che, «visto» morire la sorella Maria
Antonietta e il cognato Luigi XVI, sotto la ghigliottina, aveva
cambiato idea e voleva vedere 'e casecavalle appise
Aveva visto i primi tre, e ne vedrà ancora. Il macello durerà
un ventennio, quasi tutto l'arco di tempo che occorrerà per
costruire la chiesa.
Il 22 dicembre 1798 il re scappò da Napoli veleggiando alla
volta di Palermo. I Francesi erano alle porte: entrarono in Napoli
esattamente un mese dopo, il 22 gennaio 1799.
Un mese di saccheggi e distruzioni. La plebaglia (non il popolo)
si diede ad ogni sorta di violenza, con il pretesto di combattere
i giacobini. Naturalmente i giacumini erano tutti coloro che possedevano
beni di qualsiasi natura specialmente se di grande valore per farne
bottino.
I primi ad essere massacrati furono Ascanio e Clemente Filomarino,
il primo noto per i suoi studi matematici e fisici e il secondo
per quelli letterari; entrambi erano allievi di Gaetano De Bottis.
Il palazzo venne letteralmente spogliato di tutte le opere d'arte
e dei ricchissimi arredi e poi dato alle fiamme. I due fratelli
uccisi e i loro corpi bruciati. Era il 19 gennaio 1799.
A questo punto però è bene lasciare Napoli ed interessarci
di ciò che avvenne a Torre del Greco durante la Repubblica
Partenopea.
DON SAVERIO
LOFFREDO E L'ALBERO DELLA LIBERTA'
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