Un'altra descrizione della festa dei Quattro Altari
che veniva celebrata a Napoli, l'abbiamo da uno scrittore tedesco
già da noi citato, il quale anche se di religione protestante,
vivaddio, fa distinzione tra la festa del Corpus Domini e quella
dei Quattro Altari. Infatti dopo di aver descritta la prima, passa
a descrivere la seconda:
«Otto giorni dopo vi è la festa dei quattro altari,
dove ha pure luogo una grande processione. Si vedono allora quattro
altari eretti per strada e ornati con tappeti preziosi, vasi e altre
pompe. Uno di essi si trova davanti al teatro S. Carlo. Nel tratto
in cui la processione si ferma davanti ad esso, compare il re sul
balcone e piega le ginocchia come gli altri» (Carlo Augusto
Mayer - «Vita popolare a Napoli nell'età romantica»
- Bari 1948, pag. 108).
Il Mayer scriveva questo attorno al 1835 o qualche anno dopo, dato
che l'opera (la prima che scrisse) fu pubblicata a Oldenburg nel
1840. Il libro citato è una parte dell'opera tradotta da
Lidia Croce.
Fin qui la festa dei Quattro Altari a Napoli e ci dispiace di non
poter andare oltre, per ora.
Come per il Catafalco della Sellaria, avremmo voluto dirvi da quando
la festa non ha avuto più luogo, pur se riteniamo dal 1861.
Parliamo ora della festa dei Quattro Altari di Torre del Greco.
* * *
Tutti gli storici torresi credevano che la festa
dei Quattro Altari avesse avuto origine a Torre del Greco. Inoltre
erano convinti che la celebrazione derivasse dalla solennità
del Corpus Domini e questo solo perché avveniva nella sua
«ottava», né alcuno mai ha accennato al significato
dei QUATTRO altari. Tutti però sono concordi nell'affermare
che nel '700 a Torre del Greco si facevano, per ripicco due processioni
del Corpus Domini.
I fratelli Castaldi, nel 1890, scrissero che le due processioni,
la prima nel giorno del Corpus Domini e la seconda nell'Ottava,
venivano fatte perché gli abitanti della marina, vedendosi
trascurati nel non far giungere la processione del Corpus Domini
nella parte bassa della città, ne facevano una seconda per
conto loro, nel giorno dell'Ottava per rancore, rivalità
ed emulazione verso «quelli della parte superiore di Torre».
«Nati perciò dei rancori, ne venne di conseguenza la
rivalità, per cui i cittadini della marina non solo si astennero
dal partecipare alla festa comune (ecco l'errore: i Castaldi erano
convinti che era un'unica festa), ma cominciarono a celebrarne un'altra
otto giorni dopo con lusso maggiore ed altari più adorni».
Circa la denominazione, scrissero con molta semplicità: «ha
conservato sempre il nome di festa dei Quattro Altari, forse perché
solo quattro di essi venivano eretti nei primi anni in cui fu istituita»
(G. e F. Castaldi - Storia di Torre del Greco - ivi, 1890, pagg.
70 e 71). Da ciò si deduce, come dicevamo, che erano convinti
che la festa avesse avuto origine a Torre del Greco.
A proposito del vivo amore dei torresi per il Sacramento dell'Eucarestia,
richiamandosi anche a quanto annotò nel 1688 il suo antenato
Francesco Balzano, il sacerdote Mons. Camillo Balzano nel 1907,
così scrisse:
«A tal riguardo ci sembra non inopportuno notare, che la grande
devozione dei Torresi per Gesù Sacramentato è notoriamente
antica, e n'è pruova la magnifica festa ch'essi fanno tutti
gli anni nell'ottava del Corpus Domini, detta volgarmente dei quattro
altari.(C. Balzano - Dal riposo delle catacombe ecc. - Napoli 1907,
pag. 83).
Invece la magnifica festa, che i torresi fanno o meglio facevano
(la data non viene più rispettata) nel giorno dell'ottava
non era e non è detta volgarmente dei quattro altari, ma
è stata sempre la festa dei QUATTRO ALTARI, detta volgarmente
dell'Ottava solo perché, ripetiamo, si celebrava nel giorno
dell'ottava del Corpus Domini.
Da «L'Università della Torre del Greco nel secolo XVIII»
del Sac. Vincenzo Di Donna, edita nel 1912, rileviamo alcuni interessantissimi
brani molto utili all'indagine storica.
A pag. 183, nota 2: «Fra le varie note del nostro Municipio
troviamo ancora, tanto per dirne una, come nel 1740, in occasione
della processione da farsi dai PP. Missionari col SS. Sacramento,
si vanno venire 5 strumenti di musica, e si ordinano 5 sparate di
mortaretti e una batteria di truoni e tronelli».
Da quanto riportato dal Di Donna è facile dedurre che la
processione veniva fatta dai PP. Missionari di diversi Ordini religiosi
e non dal clero locale, proprio come avveniva a Napoli; che i pezzi
di fuoco artificiale, in tutto in numero di SEI, oltre ad imitare
i cannoni di Castelnuovo, servivano per le QUATTRO benedizioni dai
QUATTRO altari, per l'uscita, e per il rientro della processione.
Alla stessa pag. 183, in riferimento ad una S. Visita avvenuta nel
1742 e riferita dal vicario foraneo del tempo, leggiamo:
«fra le festi (sic) più solenni vi è la solennità
del SS. Sacramento, tanto nel giorno che cade, che nella sua ottava
con la processione nell'una e nell'altra».
Il vicario foraneo doveva sapere benissimo che a Torre nell'ottava
del Corpus Domini, come a Napoli, si erigevano QUATTRO altari, però
non ritenne necessario precisarlo, tanto anche secondo lui era la
stessa festa.
Un equivoco sorge a pag. 182, circa la testimonianza del Padre Bernardino
della Torre sulla festa non avvenuta per la disastrosa eruzione
del 1794, ove si legge:
«In questo giorno (giovedì 19 giugno 1794) si non potei
fare a meno di prorompere in dirottissimo pianto, poiché
mi sovvenni del brio, dell'allegrezza e della gioia che leggevasi
nelle fronti oziando degli estenuati mendichi, appunto per onorare
il SS. Sacramento dell'Eucarestia. Le sinfonie, le squille ed i
fuochi artificiali eco e rimbombo facevano per tutte le vastissime
piazze. I forestieri vi concorrevano fin dai lontani paesi per annunziare
(?sic) la polizia (pulizia) delle strade, la ricchezza degli arazzi,
la magnificenza degli Altari, la bellezza delle fontane e la grandezza
degli apparati».
L'equivoco nasce dalla data racchiusa in parentesi che, forse, non
fu scritta da Padre Bernardino. Diciamo forse, perché malgrado
le nostre ricerche, non abbiamo potuto finora posare lo sguardo
sull'opuscolo di Padre Bernardino.
La data è piuttosto un'aggiunta del Di Donna, il quale volle
precisare quella del Corpus Domini e non quella dell'Ottava (26
giugno 1794) dato che gli altari, le fontane, i fuochi artificiali
e tutto il resto si facevano nel giorno dell'Ottava e non in quello
del Corpus Domini.
Sempre dalla stessa opera del Di Donna (pagg. 181 - 182) si rileva
il più importante documento riguardante la festa torrese
dei Quattro Altari. Fa parte degli atti per la beatificazione del
preposito curato Don Vincenzo Romano. In esso documento appare chiara
la denominazione di QUATTRO ALTARI. Stralciamo l'essenziale:
«Per la benedizioni del SS. Sacramento da farsi nella festa
dei quattro altari, una volta, stando in Torre il fu Cardinal Ruffo
nella sua casina mandò a chiamare il Venerabile. Il fatto
era che il Cardinale aveva ordinato di farsi solamente quattro benedizioni
nei quattro altari principali, non tante benedizioni in ogni piccolo
altarino poco addobbato. I naturali però con molto disgusto
avevano ricevuto un tale ordine e quindi ricorsero al Venerabile
il quale pensò d'inviarli dal Cardinale con una memoria confermata
dal suo consenso; per questa ragione il Cardinale lo rimproverò,
perché non avrebbe voluto più petizioni dietro l'ordine
da lui già comunicato».
L'anonimo estensore del brano testé riportato non assistette
al colloquio tra Don Vincenzo e il capo della diocesi, però,
pur accennando alle dimensioni e alla qualità degli addobbi
degli altari, lascia capire senza lasciar alcun dubbio che il cardinale
badava innanzitutto al numero, cioè QUATTRO. Infatti, aveva
ordinato farsi SOLAMENTE QUATTRO benedizioni nei QUATTRO altari
principali. Se fosse stato, invece, per le piccole dimensioni, per
la scarsità o cattiva qualità degli addobbi, allora
avrebbe ordinato di impartire le benedizione solamente da QUEGLI
altari che avessero avuto i requisiti richiesti, ciò indipendentemente
dal loro numero e in osservanza a un decreto della Sacra Romana
Congregazione, in data 23 settembre 1820, il quale prevedeva una
visita preventiva agli altari costruiti per strada, da parte di
un perito episcopale, allo scopo di accertarne l'idoneità.
L'episodio qui riportato accadde non prima del 1821 e non dopo il
1829 e quindi in quegli anni la festa torrese, come quella di Napoli,
si denominava dei «Quattro Altari» e, certamente, fino
al 1806 se ne dovettero erigere precisamente quattro. Ciò
risulta chiaramente dall'intervento del cardinale. Ora vediamo subito
il perché.
Luigi Ruffo Scilla fu arcivescovo di Napoli dal 1802 al 1832. Nel
1806, per non aver voluto giurare fedeltà a Giuseppe Bonaparte
fu da questi mandato in esilio prima a Savona e poi in Francia,
da dove tornò nel 1815.
Tornato nella sua diocesi, dovette constatare, o forse gli fu riferito,
che gli altari a Torre del Greco, durante la sua assenza, erano
aumentati sensibilmente di numero e da qui il suo rigoroso intervento
e la ramanzina al «rivoluzionario» preposito curato
di S. Croce.
E' evidente che, per lo zelo dei fedeli, gli altari avevano superato
il numero di quattro e che Don Vincenzo non sapeva esimersi dal
concedere la benedizione Eucaristica ai Suoi devoti ma poveri filiani;
benedizione che essi chiedevano fosse fatta dal «loro»
altare, pur se piccolo e modestamente addobbato.
Egli sentiva la fede sinceramente sentita, la semplicità
e le limitate possibilità economiche di quella gente genuflessa
al passaggio del Santissimo, provata duramente dall'ultima immane
eruzione (1794) che aveva distrutta quasi per intero la città.
Certamente il Suo pensiero volava verso le centinaia di barche lontane
sui «banchi» dove quasi tutta la popolazione maschile
di Torre era intenta a strappare all'avaro mare «lu ccurell»
(il corallo) a quei tempi unico sostentamento dei torresi. E proprio
in quegli anni, con i cospicui contributi dei corallini, dei corallari
e del Comune, sorgeva il nuovo tempio di S.Croce.
Perciò, dicevamo, Don Vincenzo non aveva occhi per gli argenti,
i velluti e i damaschi. E quando disse che il cardinale lo aveva
chiamato rivoluzionario, non seppe far altro che sorridere: sapeva
innanzi tempo che, a Torre, gli altari sarebbero diventati quarantaquattro,
pur se a Napoli, capoluogo della diocesi, non se ne eressero MAI
più di QUATTRO.
Vediamo ora perché, pur essendo una solennità religiosa,
viene chiamata anche RISCATTO BANORALE.
* * *
Nel 1699, a Napoli, la festa dei Quattro Altari ebbe
luogo il 25 giugno e proprio in quel giorno, i torresi si riscattavano
dal dominio feudale.
Il 18 maggio il FEUDO di Torre del Greco e sua Com'arca era passata
a far parte del Demanio e i torresi avevano ottenuto il diritto
di prelazione. Il 29 maggio era stato respinto il ricorso del «barone»
Mario Loffredo e il 14 giugno, nell'atrio della vecchia chiesa di
S. Croce era stato proclamato «barone» il torrese Giovanni
Langella soprannominato «Giuvanne delli pigni». Perciò,
se non in quel anno, perché non ne ebbero il tempo, l'anno
seguente o qualche anno dopo se non alcuni appresso, sulla falsariga
della festa che si celebrava a Napoli, per ricordare il fausto evento
del RISCATTO, i torresi incominciarono anche loro a innalzare i
QUATTRO ALTARI nell'ottava del Corpus Domini.
La festa si svolgeva nella zona della marina, detta anche «mare
seccato» perché un'immensa valanga di fango e di detriti
vulcanici, riversatasi dal Vesuvio durante e dopo l'eruzione del
1631, spingendosi nel mare per un centinaio di metri, aveva formato
una vasta striscia di terra sotto la «ripa», dove il
mare arrivava prima dell'eruzione.
Sul «mare seccato» allora sorgevano poche case sparse
e alcune baracche di pescatori, perciò il Padre Bernardino
parla di «vastissime piazze».
Ecco spiegato perché fin dagl'inizi del '700 a Torre del
greco, come a Napoli, si celebravano «due» feste e venivano
fatte «due» processioni. Altro che rivalità,
emulazione e rancore tra i torresi!...
La prima aveva luogo il giorno della solennità del Corpus
Domini, nella parte alta della città, ed era la festa del
Corpus Domini propriamente detta. La seconda avveniva nel giorno
dell'ottava della solennità, si svolgeva nella parte bassa
della città sul «mare seccato» (abbiscio a mmare),
ed era la festa dei QUATTRO ALTARI che i torresi, come i napoletani,
chiamavano volgarmente «Festa dell'Ottava» ('a fest'
'i l'uttava).
Sono quindi superflue tante svariate ipotesi nel tentativo di dimostrare
che la festa dei Quattro Altari non è la festa del «Riscatto»
perché è una solennità religiosa e non una
festa civile, mentre essa è in realtà religiosa e
civile nello stesso tempo.
L'equivoco sorse nella seconda metà dell'800 probabilmente
intorno agli anni 1860 - 1870 quando più vivi erano i sentimenti
risorgimentali e quando da parte delle Autorità municipali,
giustamente, si volle sottolineare il lato civile e storico della
festa; e sorse per il modo errato di come fu detto e scritto. Infatti
da allora, e fino ad alcuni anni fa, nei manifesti e in tutte le
pubblicazioni inerenti alla festa, c'era scritto: «Festa dei
Quattro Altari (Riscatto Baronale)», mentre correttamente
andava scritto «Festa dei Quattro Altari e Riscatto Baronale».
Tutto qui: nella differenza che passa tra una parentesi e una congiunzione.
* * *
Come per i «baroni», anche per la festa
dei Quattro Altari occorrono delle necessarie precisazioni.
In qualche testo storico, a proposito dell'antica rinomanza della
festa anche al di fuori di Torre del Greco, viene attribuito nientedimeno
a Carlo celano «che nel 1860 scrisse», il seguente periodo:
«La Torre è decantata per la sua luminaria, e per la
festa del Corpus Domini, in cui si erigono altari ad ogni passo,
e s'improvvisano fontane che mandano co' loro getti all'aria centinaia
uova tra vari altri giuochi ridicoli o ingegnosi».
Ebbene, non si crederebbe, il canonico Carlo celano non scrisse
mai questo.
Il celano dedicò a Torre del Greco si e no diciotto righe
e, mentre descrisse la festa dei Quattro Altari di Napoli (vedi
puntata precedente), non accennò nel modo più assoluto
alla festa torrese. Non poteva farlo perché, quando pubblicò
la sua magistrale opera (1692) , la festa dell'Ottava o meglio la
festa dei Quattro Altari, a Torre non si celebrava ancora.
Le parole su riportate sono dell'archeologo Carlo Bonucci (1799
- 1870), che al tempo in cui scriveva (1845) era direttore degli
Scavi di Pompei e di quelli di Ercolano (sotto la sua direzione
fu portata a luce la Casa del Fauno) e, quelle parole si trovano
a pag. 493 del II vol. dell'opera per niente anonima, « Napoli
e i luoghi celebri delle sue vicinanze» edita a cura dei Reali
Ministeri in occasione del VII Congresso Scientifico degli Italiani
tenuto a Napoli nel settembre del 1845. Anche il Bonucci quindi,
erroneamente, lascia capire che la festa torrese si celebrava nel
giorno del Corpus Domini.
Quindi anni dopo, nel 1860, Giovambattista Chiarini, nel curare
un'ennesima ristampa dell'opera del celano corredandola con un'infinità
di aggiornamenti e aggiunte, riportando le stesse parole del Bonucci,
molto opportunamente, tenne a precisare (è in evidenza tipografica
la precisazione) che «La Torre è decantata per la sua
luminaria NELL'OTTAVARIO della festa del Corpus Domini, in cui si
erigono altari ad ogni passo» (celano - Chiarini - «Del
Bello e dell'Antico ecc.» - vol. V pag. 733 - Napoli 1860).
Come dicevamo, il Canonico in questa faccenda non c'entrò
per niente. Quando il Chiarini scrisse quelle parole aggiungendovi
l'utilissima precisazione, il canonico Carlo celano (1617 - 1693)
era morto da 167 anni.
* * *
Fin dal 1793, cioè un anno prima della terribile
eruzione che doveva distruggere quasi per intero la città.
Da come scisse Padre Bernardino della Torre, la festa torrese, come
quella napoletana, si svolgeva nelle ore diurne. Infatti fra le
tutte le cose che egli rimpiangeva non cita la luminaria.
Circa gli altari, questi non dovevano differire molto da quelli
che i napoletani erigevano nel Largo del Castello, e cioè
molto simili a quelli esistenti nelle chiese e addobbati con stoffe
pregiate, arazzi e sacri arredi d'argento. Sugli altari venivano
rappresentati i «misteri» con accompagnamento musicale.
Nella prima metà dell'800, non sappiamo in quale anno, i
torresi incominciarono a celebrare la festa di sera, anzi nella
notte che precede il giorno dell'ottava ('a vigilia 'i l'uttava)
e nel 1845, come ci fa sapere Bonucci, Torre del Greco era già
famosa «per la sua luminaria».
La festa acquistò il suo carattere artistico e quindi la
sua rinomanza, direi mondiale, per esclusivo merito di un giovanotto
col pizzetto giunto da Torino nel 1886 sto parlando di ENRICO
TAVERNA.
Direttore di quella gloriosa Scuola d'Incisione sul Corallo e di
Arti decorative e Industriali, avviò alle diverse discipline,
senza tanti fronzoli e soprattutto senza illusione e boria, una
interminabile schiera di AUTENTICI artisti: pittori, scultori, decoratori,
stuccatori muratori, carpentieri, affreschisti, i quali, assieme
a lui, portarono la festa torrese a uno splendore e una grandiosità
mai più raggiungibili.
Oggi, oltre ad essere in coma, la festa è diventata meschina,
volgare e cafona, come tutte le cose che traggono ispirazione dell'imperante
pseudo progresso e dal delirante pseudo modernismo.
Raffaele Raimondo
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