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Erasi dunque in questa beata posizione, quando
per l'oscurità si sparsero i rintocchi della campana grande: Mbooo
... mbooo... mbooo...
Che mai accade? - domanda una voce ... la segue un'altra ... poi
un'altra ancora ... in distanza... di qua... di là ... Appare qualche
fiaccola nella notte fonda.. Si picchia alle porte sulla strada
... si chiamano per nome i parenti ... un urlo vagabondo gira per
le piazze, s'inoltra nei vicoli, echeggia dai cortili .. - 'A muntaagna!
...- 'A muntagna? ... - ripetasi per ogni dove, con terrore, su
tutti i toni.
Gli assonnati, i pigri, i vecchi, i ragazzi, i più indolenti sopporterebbero
volentieri il disastro pur di non aver disturbi, ma lo spavento
si attacca, invade gli animi, stimola a star pronti, a mettersi
in salvo, uscire all'aperto. Sulla piazza alla Dogana della Farina,
vanno accumulandosi le ombre umane, qual ravvolto in coperte, chi
tuttora vestendosi, con le sole mutande, scalzi, poco meno che ignudi,
tra il pianto dei piccoli, le grida delle donne e le imprecazioni
degli uomini.
Mbooo!.. mbaaa ... mbooo!... continua implacabile la campana.
Istintivamente ognuno scrutando tra le tenebre cerca, nella
scura sagoma del vulcano, il punto luminoso dal quale era partita
l'eruzione. Ma sull'orlo craterico all'infuori di una vaga luce
rossastra, ogni tanto ravvivata come per largo respiro, niente altro
fa scorgere l'imminenza del pericolo. Sembrava che tutto fosse poco
meno del normale. Nulla di eccezionale o allarmante. Mentre gli
animi sono per rasserenarsi, sorge un frastuono proveniente da Castelnuovo(oggi
S. Gaetano). Sono voci indistinte, tumultuose, travolgenti: - Eccola!
... La lava! ... la lava! ... In un attimo spariscono i calcoli
di sicurezza . Il movimento diventa generale. Tutti gridano e tutti
fuggono. Non vi sono più genitori, ne figli : ognuno pressato, spinto,
pesto, si dà a scappare senza domandarsi per dove, né fino a quando.
Sentesi la lava del Vesuvio alle calcagna, una voragine sta per
aprirsi di sotto ai piedi, ne divora ... Misericordia! aiuto! scappa!
si salva chi può ...
Eppure era il caso di ripetere che mai maggiore incendio poteva
divampare da una piccola favilla. Tutta quella furia e precipitosa
fuga proveniva da un chiarore apparsosulla collina dei Cappuccini.
I monaci, al pari di ogni mortale, avevano sentiti i ritocchi della
campana grande e con sarmenti accesi scendevano a coppie per la
vallata, recitando preghiere, ma per portare soccorso, animare,
indurre a penitenza. Invece il riverbero dei sarmenti accesi aveva
fatto sospettare l'apertura di una bocca eruttiva nella Fossa
degli Sportielli, come allora denominavasi l'odierno
sbocco della via Gaetano de Bottis, ed il salmodiare dei frati
ne era il brontolio sotterraneo.
L'episodio suddetto, per quanto riguarda
i monaci dei Cappuccini che scendevano salmodiando, con le
torce accese per il Vallone (oggi Via Gaetano de Bottis)
accadde per davvero. Però non avvenne, come scrive il Di Donna,
nel dicembre del 1685 e tantomeno avvenne per beffa di ...«Scuppetta».
Il fatto accadde nel 1682 e precisamente
la notte sul 13 agosto e l'eruzione ci fu per davvero. Inoltre il
fuggi fuggi generale non avvenne «sulla piazza della Dogana
della Farina» (oggi Largo dei Comizi) ma
nel largo della Pietra del Pesce (oggi 'ncopp' 'a guardia
- angolo con il Corso Umberto I) da dove si vedeva e si vede,
lo «sbocco» dell'ex Vallone sulla strada regia.
Il Largo della Pietra delPesce era
la piazza principale del paese. Nel detto «Largo»,
all'angolo dell'attuale Via Gradoni e Cancelle, verso il
«Largo della Chiesa» (oggi Piazza s. Croce)
esisteva la chiesa principale intitolata alla SS. Trinità,
distrutta dalla lava il 16 giugno 1794. E' evidente che l'autore
del racconto se ne servì per esigenze di ... copione, perché «Scuppetta»
nel 1682 non avrebbe potuto far dispetto al parroco: non era stato
nominato ancora
Come si poteva arginare quella massa atterrita?
Correvasi perché gli altri scappavano, né c'era da persuadere alcuno,
se prima non si ordinava a «Scuppetta» di smetterla
con quel suo scampanio funesto, insopportabile e privo anche del
fatto positivo.
Il parroco Don Aniellantonio Brancaccio, anch'egli fuggiasco,
si scalmanava un mondo nell'indicare il colpevole, ne accentuava
il danno, istigava gli altri sacerdoti, spinse gli eletti a promuovere
un'inchiesta, promettendosi il licenziamento o per lo meno la riprovazione
di «Scuppetta». Ma male glie ne venne, perché quel
pezzo di lana non era stato a sorbire rugiada mattutina. Più che
un mese avanti se l'era intesa per cacciare un gatto morto nella
cisterna del parroco, tanto che fu d'uopo vuotarla in tempo, affinché
le venture acque piovane avessero effettuata una certa provvista.
Aggiungi che per fortuita combinazione quella notte anche il mare
era alla sottile di luna, in perfetta secca. Dunque tirò fuori queste
due brevi ragioni per giustificare il suono della campana.
In effetti le «due brave ragioni» ... era soltanto
una : la bassa marea. La cisterna vuota, essendo un fosso per la
raccolta dell'acqua piovana non subiva alcun influsso dal vicino
vulcano in caso di prossima eruzione. L'ammanco (o l'aumento) delle
acque avveniva nei pozzi e alle sorgenti.
Che cosa mai potevano opporre gli eletti? Dovettero concludere che
nessun altro avvisatore della montagna era ancora comparso al mondo
di più esatto e diligente, mentre il parroco, invece, avrebbe dovuto
lui denunziare quella sottrazione d'acqua, evitando così al pubblico
una delle più gravi sciagure, qual 'era quella non già dell'eruzione,
ma di averla vissuta e sentita.
.«Scuppetta» se la cavava da maestro, divenne
l'arbitro della situazione. Fra le molteplici insidie, l'umore popolare
ed i cambiamenti di autorità, egli restava fermo e intangibile al
suo posto. Solamente il Governatore o Capitano a guerra avrebbe
potuto rimuoverlo, ma per quello lì vi era sempre il suo vestito
da turco sottomano e per quanti anni passassero non si sarebbe
mai dimenticato l'antico e fedele nido d'una galeotta randagia sull'immenso
mare.
***
Gli anni però sono inesorabili e «Scuppetta»,
sempre vegeto e sempre sano, cominciò anch'egli ad accorgersene,
specialmente nel 1696, dacché morì Don Aniellantonio Brancaccio.
Col tacere dell'ostacolo spegnevasi in lui il passato vigore e non
già che si curvò sul davanti, ma il lato destro venne sollevandosi
sull'altro, così da dargli una certa aria tra l'annoiato e la bravura.
Era stecchito, divenne angoloso.
Per semplice passatempo aveva accolto un cagnolino allora nato,
ma di grandi future speranze, che «Giuvanne 'u Masardo»
prima di morire gli regalò qual ultimo e supremo attestato di una
riconoscenza mai interrotta. Se l'era egli portato a casa in trionfo,
come una rarità, credendo di compiere una squisitezza verso Carmina.
Ma quella furia glie ne seppe male: - Mancava quest'altro arrivo!
Non è già troppo l'accoglienza senza scopo di sorta, che mi vieni
a presentare una nuova molestia? Quando mai vi furono canin in casa
nostra? Vai a disperderlo per Calastro ... andrà in mare ad
affogare! - e poiché c'era poco da nutrire lusinghe, dovette provvedere
a traslocarlo sul campanile.
Il cane in prosieguo rispose molto bene all'aspettativa. «Scuppetta»
pretendeva che gli mancasse soltanto la parola, tanto lo trovava
intelligente, ed era uno spettacolo vederlo in che il padrone spuntava
al mattino per i tocchi dell'Ave Maria. Una festa di salti,
capitomboli, sospiri, ululati, tutto il fiore delle moine, senza
termine, anche se si ricorreva alle minacce. Solamente all'apparire
di qualche estraneo, la scena mutava di punto in bianco. «Scuppetta»
doveva sorridere mentre il cane se la dava a ringhiare. Delle volte
gli aveva applicato sul dorso gli abiti, ormai logori da turco,
e con in testa il turbante. Lo stupore in questo caso diveniva generale.
Quel grugno cagnesco imitava alla perfezione il viso del più autentico
mussulmano e «Scuppetta» ne lacrimava dalla gioia, lo
seguiva di dietro in atto ammirativo, senza punto accorgersi che
da simile posizione risultava proprio che a farla da cane.
Mentre che questo svolgevasi all'esterno, nella chiesa andavano
eseguendosi non poche opere d'arte. Già Luca Giordano vi
aveva dipinta l'Esaltazione della Croce ( il quadro adornava
l'altare di fondo della crociera trasversale del lato dell'Evangelo.
Come dire l'altare dove oggi sono custoditi i resti mortali del
Beato Vincenzo Romano. Il quadro inoltre non va confuso con quello
di fondo dietro l'altare maggiore dal titolo «Invenzione
della Croce», questo fu eseguito da Francesco De Mura
successivamente ed è ovvio che si parla dell'antica chiesa distrutta
dalla lava del 1794)
Francesco Solimena nel 1690 consegnò il suo quadro
«La decollazione di S. Gennaro» dal quale ne
ricavava la somma di 70 ducati. ( il quadro fu collocato
sull'altare di fondo della crociera trasversale dalla parte opposta.
Come punto di riferimento diremmo dove oggi c'è l'altare dedicato
a San Gennaro - la nuova chiesa fu costruita molto simile all'antica
distrutta).
Niccolò Fumo e Lorenzo Vaccaro rispettivamente terminavano
gli abbellimenti di stucco in oro fino di Spagna ai due altari e
Giovanni Ranzino, marmoraio, costruiva la balaustrata del
coro insieme all'altare maggiore con il maestoso tabernacolo a forma
di torre.
Si era in un'epoca di fervore, quando Mons. Nicola Cirillo, eletto
vescovo di Nicastro fin dal 7 luglio 1682 ne dava l'esempio. Volevasi
gareggiare anche perché il suo segretario Don Andrea Zappale che
spesso veniva a Torre del Greco, avesse potuto testimoniare ai diocesani
di là che, nella patria di Monsignore, sapevasi stare al mondo.
Occorre aggiungere che il suddetto Giovanni Ranzino, il marmoraio,
poi ne stimolava . Diventato, per le sue maniere, l'artista di fiducia
dei Governatori, proponeva sempre nuovi lavori e più ampi progetti.
Fra tanto entusiasmo sarebbe stato doveroso pensare al campanile,
rimasto al solo primo ordine fin dal 1560, e veramente il progetto
non s'era mai dismesso, ma poi, un poco per l'abitudine di vederlo
così tozzo, un po' per la somma, se n'era sempre rimandata la costruzione.
Al presente poi non si poteva fare altro che aggiungere un'altra
campana, così che da quattro se ne avrebbero avute cinque. Era una
soddisfazione anche quella di saperlo fornito con maggiore sonorità,
mentre altri campanili appena raggiungevano il necessario.
Il Ranzino che aveva suggerita l'idea, presentò anche l'artista
fonditore. Fu convenuto la misura della campana, il prezzo, gli
si anticiparono 50 ducati ed aspettavasi la consegna del lavoro.
Dopo alcuni giorni invece della campana, pervenne la notizia della
morte del fonditore. In mancanza di ciò e come per rifarsi della
disdetta, diedesi principio all'ornamento dell'atrio esterno , fornendo
di una paraostata (balaustrata) in giro di pietra di
Pianura. I maestri Giuseppe d'Apice e Giulio Moscatiello
vennero all'uopo da San Severino e proprio nel 1700
terminarono il lavoro con plauso di tutti.
La faccenda della campana però ritornava sempre a galla, finché
a capo di tre anni si ebbe occasione di conoscere Giovanni Garzia,
il quale pigliò impegno di fonderla sul posto senza anticipo
e con ogni migliore garanzia di perfetta riuscita. Il luogo da scegliere
era certamente nell'interstizio tra il campanile e la Congrega del
SS: Sacramento. Colà fu preparato ogni cosa, scavata la forma nel
terreno, accesa la bragia ed ivi si raccolsero i più agiati cittadini
per gettare nel bronzo in fusione gli oggetti d'argento o qualche
ducato, per divozione ed affinché il suono risultasse poi limpido
e gentile. Anche Carmine Raiola, la sorella del defunto mancato
parroco, volle distinguersi con la sua offerta consegnando nelle
mani del parroco Giandomenico Cartuccio, l'anello d'oro che
il fratello s'era preparato per il giorno del suo possesso canonico
che non venne mai Quando ogni cosa fu in ordine e la campana
fissata al ceppo, nella sera del giovedì 1 giugno 1703 (festività
del Corpus Domini) «Scuppetta» la tenne a battesimo,
in concerto ed in assolo.
Riconobbesi ch'era un'opera fatta bene, ma veniva notato che la
valentia del suonatore non era più come nel passato. Lui,
il vivificatore dei più memorandi avvenimenti, l'uomo che meglio
sapeva guardare nel cuore della moltitudine, per arringarla, scuoterla,
travolgerla in un fremito d'entusiasmo, questa volta rimaneva inferiore
alla circostanza. Gli mancava qualcosa, tra un ritocco e l'altro
apparivano dei vuoti: l'incalzo finale, addirittura deficiente.
Stava suonando perché il polso gli resisteva ancora, ma l'anima
era sparita.
Povero vecchio: che diavolerie in altri tempi. Bastava ricordare
il Riscatto! Quello sì che furono giornate magnifiche! Suonò
ininterrottamente fin dell'arrivo della Corte da Napoli, durante
il corteo partito dal Castello, e poi alla benedizione in Parrocchia,
all'uscita, sempre! Pensare che il nuovo barone Giovanni
Langella ( detto Giuvanne delli Pigni) voleva condurlo
seco, per l'istessa funzione della presa di possesso, a Resina e
a Portici ... Tanto onore - pensò «Scuppetta» rifiutando
l'invito - Don Giovanni aveva pescato proprio l'uomo disposto a
tradire il suo paese ... Neppure per tutto l'oro del mondo! ...
- Oh! ... ma che novità è mai questa? ... L'hai sentito anche tu
il tocco? Ecco, eccone un altro più fermo! ... Guarda come sventola
la fune! ... Anche la campana le tien dietro! Avrò forse intenzione
di ripigliare?
- Ohè Scupèee! è andata bene, vieni via! suonerai un'altra volta
domani! ... ormai è tardi ... basta!... Ma visto che continuava
e temendo che fosse impazzito, i più risoluti spalancarono la porta
del campanile, balzarono su per la scala, guardarono ... «Scuppetta»
riverso in un angolo, la bocca spumeggiante , gli occhi sbarrati,
era morto, mentre il cane con la fune tra i denti, ringhiando, saltava
da un punto all'altro nell'atto di avventarsi su gli intrusi. A
colpi di randello e pietre, gli intervenuti furono costretti ad
ammazzare quella povera bestia ai piedi del suo padrone, senza che
questa avesse almeno tentato di allontanarsi.
Durante la notte, quando ogni cosa rimase avvolta nel mistero, da
quel gruppo lasciato colà ancora insepolto poteva risultare quest'armonica
riflessione: «Scuppetta» sempre mai geloso del suo titolo
di fedeltà, veniva ripagato nell'istessa misura da ... un cane.
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