Il racconto che
segue fu pubblicato in Torre del Greco per i tipi dello Stabilimento
Palomba e Mazza nel 1931. Fa parte della collana «Racconti
storici torresi» che il Sac. Vincenzo Di Donna enumerò
nel modo seguente: N°. 1 - «Fra' Natale», 2°
ed. 1930; N°. 2 - «Un campanarista di S. Croce»,
2° ed. 1931; N° 4 - «Storia di Santa Maria del Principio»,
2° ed. 1931; N° 5 - «Turris Octavia», parte I
e III, 1952. Come si vede, manca il N°3 e la II parte del N°5. Sappiamo
che di quest'ultima, la II parte non venne mai pubblicata, ma non
sappiamo dove sia andata a finire il manoscritto. Anche il N°3 non
fu mai pubblicato e di questo non se ne conosce nemmeno il titolo.
L'autore, seguendo il filo storico, fa ruotare nel soggetto oltre
ai personaggi fantastici, anche quelli veri, cioè quelli esistiti,
e cita nella stesura le varie denominazioni delle località torresi
del tempo, avvenimenti reali, eruzioni e tutto ciò che avveniva
nella nostra città nella seconda metà del Seicento tra cui il «Riscatto
Baronale» (14 giugno 1699).
Il testo che di seguito pubblichiamo non è integrale. Abbiamo ritenuto,
in tutta modestia, sopprimere qualche periodo, il che non toglie
nulla, e rendere lo stile più intelleggibile al lettore, sostituendo
qualche parola di tipo arcaico. Inoltre abbiamo inserito, in corsivo,
alcune note, o per spiegare meglio, o per delle osservazioni a proposito
di certi fenomeni vulcanici, o per qualche data posticipata dall'Autore
per esigenza cronologica del Racconto.
R.R.
-1-
Nell'eruzione
vesuviana del 1631, fra i tanti fenomeni tellurici soliti a verificarsi
in simili circostanze, vi fu ancora quello che con parola tecnica
si dice bradisismo, ossia sollevamento del suolo. Il mare dacché
lambiva i muraglioni del nostro Castello si ritrasse per tutto quello
spazio che una volta si chiamò Mare Seccato e che
oggi corrisponde dalla Ripa a Gavino e Dogana di Finanza
(quest' ultima nei primi anni del '900 era ubicata alla Spiaggia
del Fronte).
Per tanta sorpresa ed anche perché i pozzi avevano patito l 'istessa
diminuzione d'acqua, si fece largo l'opinione che a causa dei movimenti
vulcanici fossero delle falle prodottesi nel sottosuolo, per cui
le acque penetrando in cavità mettevansi a contatto del fuoco centrale
terrestre, e quindi la lotta fra i due elementi opposti con quelle
funeste conseguenze di s'era stati spettatori.
Fu così che il nostro Municipio, a quel tempo denominato Università,
pensò di nominare due persone: il Nettatore alla Fontana
e l'Avviatore della Montagna. Quello vigilante il tenore
delle acque nel corso pubblico, doveva in caso di secca, comunicarlo
al secondo. Questi, di permanenza su quel nostro mozzicone di campanile
(era basso perché non era ancora completato), nel ricevere
l'annunzio guardava il fumo sulla bocca del Vesuvio - scarso o abbondante,
bianco o nero - e previsto il pericolo, ne dava l'annunzio al paese
con alcuni speciali rintocchi della campana grande.
Nel 1656, per l'infuriare della peste,
a Torre morirono non meno di quattromila persone e tra queste
il parroco Nicolandrea Balzano e l'Avviatore della Montagna: incarico
quest' ultimo rimasto vuoto perché non fu più nominato il successore.
***
Il giorno primo del febbraio
1681, quando appena albeggiava, si udì uno squillare di campane
sorprendente. Erano rintocchi vibrati, sonori, inseguendosi l'uno
dopo l'altro con ritmica impeccabile, di lontano, da vicino, sempre
distinti e sempre precisi, tanto nell'incalzare, come nelle più
tenui sfumature. Qualche cosa di mai udito e che spingeva a togliersi
di letto per conoscerne la causa.
- Perché si suona a festa! ... Chi è sul campanile? - ed i
curiosi aumentavano di mano in mano, col naso in aria per scoprire
chi era l'autore di tanta musica. Ma non appariva nulla, sembrava
che le campane si muovessero per una forza occulta, come se un nervosismo
avesse invaso i batacchi che colpivano senza misericordia. Fu gioca
forza aspettare un bel po' di tempo perfarla finita. Quand'eccoti
finalmente apparire un ... turco! Si proprio un turco, con turbante
, camiciola e brache in tutta regola, alto e secco come un coltello,
le braccia al sen conserte e senza il minimo segno di stanchezza,
quasi non fosse stato lui a suonare.
Un oooh! prolungato di delusione accolse la comparsa - Boia d'un
diavolo - scappò a qualcuno - è arrivato stanotte da S. Sofia di
Costantinopoli?! Gli altri guardandosi, domandavano: - Ma chi è?
E' nato qui quella figura? ... Solamente un marinaio, «Giuvanne
'u masardo», esclamò: - E' «Scuppetta»,
il figlio di Anna Rosa ... Ha suonato perché hanno eletto il parroco!
***
Scuppetta, se mai avesse avuto
quel nomignolo, poteva sempre guadagnarselo, tant'era l'affinità
tra il suo comportamento e l'arnese omonimo.
Nel nascere gli si diede il nome di Antonio, in omaggio al Santo
del giorno che fu quello del 13 giugno 1622. La madre era certa
Anna Rosa Sorrentino, attempata contadina della contrada Carbolillo,
passava per una donna energica e risoluta, tanto da aver saputo
regolare i conti con il Caporale della Torre di Bassano, disarmarlo
e costringerlo a mutare aria. Ad una parete della sua casa, quasi
trofeo, pendeva difatti sinistramente uno schioppo, il che se infondeva
rispetto ai passanti, stimolava per altro quel suo bambino, che
dall'ammirarlo e toccarlo passò subito ad usarne per spauracchio
del vicinato ... scarico naturalmente. Di qui il soprannome: «Scuppetta».
Però del carattere impulsivo del figlio, la madre non si augurava
alcun che di bene e con l'esclamare: E' proprio figlio a me! - deliberava
giàin cuor suo il piano da attuare: mandarlo per mare: - Così impara!
Difatti quando appena il ragazzo toccava gli otto anni, venne lei
da compare Battimo Cerillo, il pastore che la domenica apriva «chianca»
al Porchianisi (oggi la località è denominata Gradoni
e Cancelle), ivi scelse uno tra i migliori capretti
della mandria e corse difilata dal padron Vincenzo Garofalo, largo
suo parente, a fargliene regalo. Ma così, senza scopo di sorta,
per sapere come stavano quel di casa, se l'anno seguente si tornava
alla solita pesca del corallo, e solo quando n'ebbe affermativa,
si ricordò di suggerire: - Portatevi pure
«Scuppetta» . Non perché m'è figlio ma quello ne vale
dieci e vi farà onore!
Padron Vincenzo, impreparato a questo ... secondo regale, se lo
fece ripetere ancora una volta e poi, mostrandosi di accondiscendere
per rinfrescare la vecchia parentela, enumerò «Scuppetta»
tra la ciurma della sua feluca sottile: «S. Maria La Bruna»,
in partenza dalla marina di S. Aspreno per le acque di S.
Eufemia e Messina (la marina di S. Aspreno era ubicata
tra il centro attuale del Corso Garibaldi e il Largo di Gavino e
si accedeva dall'attuale Via Gradoni e Cancelle).
Però dice il proverbio: - Se l'uomo propone, Dio dispone
- e proprio come capitò al biblico Giona, avvenne che appena la
colonna delle barche lasciò terra, li colse un violente fortunale
per cui dovettero riparare , chi tornando a Torre e chi rifugiarsi
in Castellamare e a Sorrento. La sola «S. Maria la Bruna»
arrivò a toccare Capri.
Il giorno dopo, nel rifarsi del tempo, la feluca di padron Vincenzo
Garofalo era per disporsi al largo qual segnale agli altri, quando,
da prua, sbucò una galeotta turca di posta nei crepacci dell'isola,
intimando la resa. Erano caduti in mano dei pirati barbareschi e
fatti schiavi.
Della disavventura come non s'erano accorti gli altri padroni di
barche, così anche Anna Rosa rimase al buio, mai sospettando un
sinistro a si breve scadenza. Fu nel seguente ottobre quando tornarono
in patria le feluche: tutte si numerarono fuorché la «S. Maria
la Bruna» dov'era imbarcato «Scuppetta». La povera
donna si rase i capelli, come prescrivevano le usanze dei tempi
ed esclamò fiduciosa: - Se non è morto, qui tornerà! - Era il motto
che le tornava in bocca ogni qualvolta la si domandava, e bisogna
anche aggiungere che il figlio non ne deluse la speranza. Tornò
difatti, ma quanto la madre non lo poteva più accogliere, ne abbracciare.
Anna Rosa, colpita tra i primi dalla peste, era morta da un pezzo,
col nome del figlio sulle labbra.
***
Nessuno pensò a riscattare «Scuppetta»
e il ragazzo restò prigioniero dei turchi, soggetto al lavoro forzato.
Poi si naturalizzò, apprese ogni segreto, prevedeva il pericolo,
misurava le difficoltà e riusciva sempre preciso nell'intento. Per
la lunga lena del remare aveva acquistato tale vigoria di braccia
che dalla stretta si rimaneva immobilizzati in una morsa d'acciaio:
prodigioso nell'arrembaggio, spaventevole nel colpire.
Campo delle sue scorrerie erano in particolare le coste della Francia
e di Spagna, e fu buona ventura l'allontanamento dal luogo
natio, perché anche lui soffriva di una singolare debolezza. Quando
gli accadeva di riudire il linguaggio della sua puerizia diventava
molto triste, quasi affascinato, non era più energico. Quel suono
lo accarezzava, gli presentava ombre tenui, evanescenti, nostalgiche,
sperdute nella lontananza del tempo e delle abitudini. Non poteva
resistere a tanta dolcezza e soavità, n'era conquiso, inebriato,
fino al punto che fu questo il principale motivo per farlo decidere
all'abbandono di una vita piena di emozioni e per tanto confacente
al suo carattere.
Padron Giovanni Langella, detto 'u mansardo - marinaio non tanto
ardito, ma flessibile agli eventi, sapendo all'occasione incutere
spavento o scappare dalla paura con trovate originali e graziose,
così che non sapevasi mai distinguere se era lui a crearle, oppure
esistessero nell'ordine naturale. Fu l'uomo che avventuratosi pel
mare di Malaga allo scopo di riuscire a trovare più corallo, capitò
diritto nelle mani di «Scuppetta» - Come?!... Saresti
proprio tu a trattenermi?! - urlò padron Giovanni - Possiedi questo
fegato?! - Non hai vergogna di tanta temerarità?!... E sei torrese
tu?! ... Bastò quest'ultimo accenno per rimanere vincitore. «Scuppetta»,
colpito nel vivo si arrese, e non solo lo riponeva in libertà, ma
egli stesso deliberò di far ritorno alla sua terra natale, gonfio
di cuore e con la disposizione nell'animo di rendersi benemerito
chi sa di quali innovazioni e miglioramenti. Finì per mettersi al
servizio del sacerdote torrese, Don Giovanni Battista Raiola.
***
Nei primi giorni di dicembre
del 1680 moriva il parroco Don Francesco Antonio Vitelli, dopo appena
sette anni di cura d'anime, ed i governatori di S. Croce, com'è
loro diritto, si riunirono ai 13 del detto mese per la nomina del
successore da proporre alla Curia Arcivescovile ( il
Di Donna scrisse il racconto prima del 1929. Prima del Concordato
si usava così. La chiesa essendo di patronato municipale, la nomina
del parroco era di pertinenza Comunale salvo l'approvazione della
Curia Arcivescovile).
Passati in rassegna tutti i preti del clero locale, si aprì la discussione
su due nomi: Don Giovan Battista Raiola, al cui servizio era «Scuppetta»
e Don Carlo D'Amato.Alcuni, ed erano i più fervidi, volevano ad
ogni costa che si preferisse il primo, gli altri tenevano fermo
sul secondo, perché dal carattere mite di costui auspicavano un
migliore governo e vinsero proprio col prospettare l'umore popolare.
Don Giovanni Battista Raiola aveva difatti una sorella, Carmina,
molto più giovane di lui, la quale, immischiandosi in tutte le faccende
della vita cittadina, compresa quella ecclesiastica, si rendeva
odiosa ed insopportabile. Una specialità di Carmine era proprio
quella di appurare quanto avveniva nella pubblica fontana, luogo
in cui le prammatiche d'allora ne proibivano l'accesso agli uomini
ogni qualvolta le donne vi si recavano a ripulire il bucato. Guai
se una gonnella si lasciava sopprendere. Don Giovan Battista , istigato
dalla sorella, subito correva a redarguire, ora il forestiere, ora
i soldati di corte, e perfino il Governatore della città per una
più scrupolosa oculatezza. Di questo i governatori di S. Croce ne
presero atto e scelsero Don Carlo D'Amato.
Appena si propagò la notizia della scelta, Carmina diventò ancora
più velenosa del solito.. Torcendosi le mani se la prendeva con
i governatori della chiesa e principalmente con Donato Chiumiento,
Pietro Castiello e Fabrizio Brancaccio. Di quest'ultimo diceva:
- E' sempre lui a portare il gonfalone!... Vuol comandare
da solo, noi gli diamo ombra! Il sornione deve abbrancare tutto!
Pensasse allo stinco di sua figlia: non la vede che fa da franca
per tutti i gaifi?! (il gaifo, o meglio il gaifone, è un uccello
che non sta mai fermo e che, appunto, salta in continuazione da
un ramo all'altro). E via su questo tono, deprecando, rammaricandosi,
mordendo or questo, or quello, senza mai finirla, trascurando i
più necessari bisogni di casa.
«Scuppetta» era li a sentire, fiutava odor di polvere
per aria, s'ingrossava nell'animo. Tra la pelle gli veniva del solletico,
bisognava che operasse qualche cosa per i suoi benefattori e, perché
non sapeva giocar di bocca, ne pensò una da pari suo.
Prese novella di Don Carlo, dove abitava, quando usciva, quando
rincasava e la sera dopo fu ad aspettarlo dietro il portone d'ingresso.
Il povero prete, inconscio di quello che gli stava per capitare,
veniva cheto cheto dal Vicolo delli Pigni (è l'attuale
Vico Bufale) col lanternino per farsi lume, e non ancora aveva
rinchiuso il battente, quando si trovò tra due ferri, sollevato,
introdotto in casa e scaraventato sul letto. Un turco gli si parava
davanti e: - Come ora ti ho portato in casa - gli diceva - così
ti porterò a Calastro quando ti nomineranno parroco!
Calastro era allora un posto di rifiuto, vi si lasciavano le carogne
a marcire e l'allusione valeva quanto la più grave minaccia...
Appena fu giorno, Carmine Padoano, altro governatore di S. Croce,
si recò di corsa da Don Giovan Battista Raiola per raccontargli
che Don Carlo D'Amato non avrebbe più accettato. La notizia era
talmente certa che la sorella del prete gongolava per la gioia.
Infatti in una riunione dei governatori nel convento di Maria di
Costantinopoli, scelsero Don Giovan Battista Raiola quale parroco,
in sostituzione di Don Carlo D'Amato ... dimissionario, ed al 31
gennaio 1681 venne inoltrata alla Curia Arcivescovile la relativa
deliberazione. Fu appunto da questo avvenimento che «Scuppetta»
prendendosela come vittoria tutta sua, vestito da turco, si diede
a picchiare di santa ragione nelle pubbliche campane.
Ma la «scelta» non era la nomina. Il popolo tumultuava,
sapeva che Don Carlo D'Amato non aveva presentato le dimissioni
per iscritto, perciò la Curia non prese alcun provvedimento.
Erano trascorsi due anni e più dalla morte di Don Francesco Antonio
Vitelli e non ancora si era nominato il successore. A darla veramente
finita fu la morte del tutto inaspettata di Don Giovanni Battista
Raiola, avvenuta il 6 gennaio 1683. E nemmeno fu nominato parroco
Don Carlo D'Amato. Fu nominato invece Don Aniellantonio Brancaccio.
***
Se Don Giovan Battista Raiola
era sparito, rimaneva però «Scuppetta» il quale, niente
affatto ansioso di seguirlo, meditava a tempo propizio, per attuare
uno dei suoi tiri birboni.
Nell'ottobre del 1685, v'era stata qualche ripresa nell'attività
vesuviana, con getti di fuoco, cenere, folgori e lapilli. Una di
quelle manifestazioni minori, a quanto siamo soliti considerare,
priva come fu di eflusso lavico e senza danno ai terreni sottoposti.
Nondimeno i vecchi che ricordavano l'eruzione del 16 dicembre
1631, per mostrare di saperne un poco più degli altri, andavano
predicendo - guardate un po' - una certa concordia tra il fuoco
e la rigidità della temperatura invernale, quasi che l'eruzioni
dovessero avvenire esclusivamente nella detta stagione. «Scuppetta»
poi la minacciava addirittura, perché riteneva che dovesse esservi
una immancabile riprovazione da parte divina ai fatti accaduti e
la sua pretesa passava per infallibile, come se l'avesse proclamata
il più illustre dei moderni direttori dell'Osservatorio Vesuviano.
Si era dunque in apprensione e frattanto sopravveniva il Natale
senza che gli oracoli si avverassero. Non sono questi i momenti
di malinconia ed infatti i torresi, mettendo da parte ogni
apprensione si preparavano a trascorrere le feste in letizia.
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