Paolo VI, in un colloquio avuto con il Segretario
Generale dell'ONU U Thant, gli ha detto: «Il
mondo è stanco delle parole».
E' stanco delle idee sballate, dei programmi che non si realizzano,
delle promesse che nessuno mantiene, dei congressi, delle conferenze-stampa,
dei comunicati più o meno ufficiali, di annose trattative ecc. Parole!
Parole! Parole!
I napoletani, filosofi per natura, le chiamano chiacchiere ed aggiungendo
ad esse le tabacchiere di legno, che non hanno alcun valore, hanno
coniato il popolarissimo aforisma: Chiacchiere e tabbacchere
'e lignamme 'o banco nun 'e 'mpigne.
Nella Babele dei tempi attuali, le parole, invece, hanno il
valore dell'oro, anzi sono proprio le parole, cioè le chiacchiere,
che una larga percentuale dell'Umanità tramuta ... in oro.
Se poi le parole sono accompagnate da un rumore qualsiasi, che molte
volte viene definito musica, allora l'oro diventa addirittura un
filone superiore a quelli del Transwaal.
Il mondo è stanco delle chiacchiere dei reggitori delle nazioni,
dei diplomatici, dell'ONU, dei politici, dei politicanti ecc. eppure
fa altrettanto, cioè «produce» chiacchiere, anzi è
amante delle chiacchiere e proprio di quelle che danno gloria e
ricchezza ai furbi.
Sul video appaiono sociologhi e psicologi e discutono i vari «problemi»
che attanagliano l'Umanità. Vorrei dire loro che le parole difficili
non servono a rendere importante il «problema» né
lo risolvono.
Per avere un'idea di come si agisce psicologicamente sulle masse,
basta girare l'interruttore della radio alle ore 7 per apprendere
che 150 lire bastano per comprare la fortuna.
Una volta la «fortuna» la estraeva dalla gabbia il
pappagallo della zingarella per dieci centesimi, oggi invece
è la radio (Ente a carattere informativo - formativo - culturale
- educativo che la offre al «pappagallo» il quale
così si convince che non sul lavoro e sui risparmi deve fondarsi,
sull'intervento della fortuna; ed è così intenso e convincente il
bombardamento radiofonico, è ormai entrato nell'ordine delle idee
che la «fortuna» esiste veramente e che solo essa
potrà dargli aggi e ricchezze e soprattutto gli potrà permettere
di ... non lavorare.
Con i più disparati mezzi meccanici di riproduzione, tutte le chiacchiere
vengono registrate su nastri magnetici, incise su dischi per poi
essere diffuse a mezzo della radio, della televisione, dei giradischi,
dei mangiadischi, delle musicassette, dei juke-box ecc. e offerte
miliardi di volte alla delizia dei condotti auricolari di tutta
l'umanità. Se a tutto questo aggiungiamo lo scoppiettio dei ciclomotori,
il rombo delle motociclette e delle auto con le marmitte sfondate,
avremo il quadro approssimativo della situazione rumorosa ed allucinante
dell'epoca nella quale... vegetiamo.
Il silenzio, ora ce ne accorgiamo, è veramente d'oro, e noi credevamo
fosse semplicemente una massima che ci veniva spesso ripetuta dal
maestro per invitarci a parlare poco nella scuola, in casa e per
la strada.
Il silenzio era rotto di tanto in tanto dal nitrito di un cavallo,
dal raglio di un asino (come dite? lo state udendo proprio in questo
istante? Vi ringrazio) dall'abbaiare di un cane (ora lo sento io.
Siamo pari!) o dal muggito della vacca dalla stalla poco distante,
dal cigolio delle ruote di un carro e dal rumore dei cerchi di ferro
sulle giunture delle selci e, nei lunghi pomeriggi estivi (a proposito
dove sono più quei lunghi silenziosi pomeriggi estivi?) dal fischio
del merlo o dal canto della cicala che, da bambini, credevamo servisse
a maturare l'uva. Quello era canto! Quella era la musica!
Oh, sublimi versi di Libero Bovio: Silenzio cantatore!...Noi possedevamo
il silenzio. Noi possedevamo quell'oro.
Il canto e la musica venivano a noi dal Teatro Garibaldi, o da qualche
grammofono a tromba, made in USA., giunto fino a noi dagli emigranti
in New York-Brooklyn (si, si, si.. gnorina proprio il nome
della gomma che sta masticando) o dall'unico pianino della plaga
torrese: quello di Peppe. Dal cinema niente, perché esso non parlava
e non suonava, era muto.
Dato che, in fondo, queste poche chiacchiere sono come una
goccia d'acqua nell'oceano, anzi in tutti e cinque, possiamo aggiungere
queste alle altre, senza il pericolo che gli oceani straripino.
Parlerò, quindi, di quando il cinema era muto.
Il Cinema «Splendor» in Piazza S. Croce
Quei tre vani dove oggi è il bar De Nicola (don Enrico
qui non c'entra) erano adibiti a sala di proiezione. Era il Cinema
«Splendor»e di splendore c'era soltanto un sottile
fregio di legno dorato che faceva da cornice fra le tre brutte volte
ed i muri incrostati di salmastro. Lo splendore entrava di tanto
in tanto attraverso le tende sollevate dagli spettatori che entravano
durante la proiezione ed era l'accecante luce del sole, quando era
ancora in alto su Piazza S. Croce, che andando a finire sul lenzuolo
ingiallito dello schermo, sbiadiva l'immagine proiettata provocando
schiamazzi, fischi e giaculatorie all'indirizzo dei ... disturbatori.
La proiezione era accompagnata da un pianino a manovella e
più tardi, il progresso l'impose, da un pianoforte.
L'elica davanti all'obiettivo che serviva a staccare i fotogrammi
creava nella sala un tremolio di luce accompagnato a volte dal tremolio
delle note del pianoforte prodotto dalle dita del «maestro»
sulla tastiera. Avveniva durante le scene patetiche, le scene d'amore,
e non mancava il caso che per una distrazione del «maestro»
la scena tragica era accompagnata da una allegra mazurka di Migliavacca
e quella comica del valzer triste di Sibelius; ed anche allora erano
fischi ed insulti a non finire e alla frusta di Carolina si aggiungeva
il bastone del «maestro»
I divi di allora
I divi di allora, della nostra età, erano William Hart, Tom
Mix, Hoot Gibson, Saltarello (Buster Keaton) Plum (l'attore italiano
Monty Banks) Douglas Fairbanks (Zorro) Emilio Ghione (Za la mort),
Max Linder, Larry Semon (Ridolini), Fridolen, Ben Turpin, Charlie
Chaplin (Charlot), Bartolomeo Pagano (Maciste); le dive interessavano
i più adulti ed erano Lyda Borelli, Italia Almirante-Manzini, Rina
De Liguoro, Pina Menichelli, Leda Gys, Maria e Diomira Iacobini,
Carmen Boni ( vi confesso che questa mi piaceva molto, anche se
non ero proprio ancora adulto).
Poi arrivarono Greta Garbo, Marlene Dietrich ed il trio della Metro
Goldwin Mayer: Doroty Sebastian, Joan Crawford e Anita Page e ...oh
donne, tremate! Rodolfo Valentino, John Gilbert, Ramon Navarro e
John Barrymore, che aveva soppiantato i vari Amieto Novelli, Mario
Bonnard, Alberto Collo, Ubaldo Maria Del Colle, Alberto Capozzi
e Luciano Albertini.
Rodolfo Valentino
Rodolfo Valentino, nome d'arte di Rodolfo Pietro Filiberto Guglielmi,
era nato a Castellaneta in provincia di Taranto nel 1895. Figlio
di un veterinario ex ufficiale di cavalleria e di una giovane donna
di origine francese, nel 1912, all'età di 17 anni, andò in Francia
e di lì (1913) emigrò negli Stati Uniti. Fece il giardiniere, lo
sguattero, indi il ballerino nei ristoranti ala moda dove ... insegnava
a ballare il tango.
Ingaggiato da una compagnia di spettacoli musicali giunse a San
Francisco dove per breve tempo fu agente di una compagnia di assicurazioni.
Da San Francisco ad Hollywood il passo fu breve e, dopo aver fatto
di nuovo il ballerino, l'umile comparsa nei films dove appariva
come cafone o addirittura come criminale, interpretò da protagonista
principale (1921) «I
quattro cavalieri dell'Apocalisse» riportando un successo
travolgente. Poi vennero «Lo sceicco», «Sangue
e arena», «Monsieur Beaucaire», «L'aquila
nera», «Il figlio dello sceicco»... Nel 1926,
era di agosto, la data la ricordo perché Gilda Mignonette dai gracidanti
fonografi di allora, cantava
... 'o vintitrè austo
dinto 'o spitale ...,
fu ricoverato d'urgenza al Polyclinic Hospital di New
York con una peritonite che, in pochi giorni se non ore, lo portò
alla tomba.
Era scettico, era appassionato, era tenerissimo, era volubile,
era brutale ed oltre a tutto questo, anzi per tutto questo, era
l'idolo di molti milioni di donne (oh donne tremate! Come, voi ridete?
E ridete!). Il treno che trasportava la salma dall'Atlantico al
Pacifico fu costretto a sostare in tutte le stazioni, anche in quelle
insignificanti e sperdute. La strada ferrata era fiancheggiata da
donne piangenti che invadevano anche la sede dei binari per fermare
il treno, fra uno sventolio di fazzoletti, naturalmente bagnati,
ed urla isteriche, proprio come fanno oggi le ragazze con i big
della canzone nello spettacolo televisivo.
«Chi sa chi lo sa?» . L'attrice Pola Negri fece dichiarazioni
esplosive: lei e Rudy si amavano in segreto; si disse che non era
vero, ma soltanto pubblicità. Che cosa non fanno le varie dive dello
schermo dette anche «attrici» per la pubblicità?
Qualcuno per smantellare le rivelazioni di Pola Negri, insinuò che
Rodolfo Valentino nella realtà non sapeva amare come nello schermo.
Ormai potevano dire tutto, perché i morti nemmeno allora parlavano.
La sua monumentale tomba nel Cimitero di Hollywood fu meta di morbosa
attenzione e per parecchi anni una misteriosa donna in gramaglie
deponeva ogni giorno sulla lasta tomabale una rosa rossa.
Greta Garbo
Un'altro «astro» di prima grandezza fu Greta Garbo
che raggiunse la più alta vetta del successo mai raggiunto da nessuna
altra attrice.
Non era bella, aveva i piedi lunghi ed il corpo meno che bello,
assenza di grazia muliebre e poco gusto nel vestire. Eppure nel
film la «Carne e il diavolo» (1927) con il bacio scambiato
con John Gilbert fece tremare e platee di tutto il mondo. Diciamolo
pure:
ciò oggi potrebbe far sorridere, ora che assistiamo a tante schifezze
sullo schermo e fuori schermo. Perché non dovrebbero queste piuttosto
far... piangere di commiserazione e di pietà? E non sarebbe il caso
di domandarsi se non sono «guardoni», coloro che godono
nell'assistere a quello che fanno gli altri? Nel vocabolario non
troverete il secondo significato che nell'uso ha preso la parole
«guardone». Vi dirò solo che indica qualcosa di degenerato
e di anormale.
Non ho intenzione di erigermi a moralista o a «bacchettone».
Ma ascoltiamo un po' che cosa dice Antonio Gramsci in una nota del
16 febbraio 1917 nel criticare l'arte di Lyda Borelli: «L'elemento
sesso ha trovato nel palcoscenico (e quindi nello schermo n.d.r.)
la sua moderna possibilità di contatto col pubblico. E ha rapinato
le intelligenze». E ancora: «Si dice di ammirarla
per la sua arte. Non è vero. Nessuno sa spiegare cosa sia l'arte
della Borelli perché non esiste. La Borelli non sa interpretare
nessuna creatura diversa da se stessa. Ella scande semplicemente
i periodi, non recita» (Pietro Bianchi - Francesco Bertini
e le dive del cinema muto - Torino 1969).
Che direbbe, oggi, Antonio Gramsci e che direbbe dei militanti del
suo partito, della loro accondiscendenza e delle lance che spezzano
a favore di certi registi cinematografici più o meno impegnati ...
che hanno fatto del cinema la quintessenza della pornografia?
Ma noi stavamo parlando del vecchio Cinema, perciò torniamo sui
nostri passi, allontanandoci da certe brutture.
Hollywood la Mecca del Cinema
Nel 1929 l'anno del crollo alla borsa di Wall Street e della
spaventosa crisi economica americana e mondiale. Hollywood era diventata
la Mecca del Cinema. Contava 75.000 abitanti: 50.000 attori ed attrici
fra quelli veri e quelli aspiranti; gli altri 25mila erano attrezzisti,
costumisti, operatori, architetti, registi, arredatori, ecc.
Non reggendo alla concorrenza americana, man mano i nostri stabilimenti
di Torino e di Roma chiusero i battenti. L'industria cinematografica
italiana divenne quasi nulla. E fu proprio nel 1929 che i fratelli
Warner, proprietari della Warner Brothers-First National, lanciarono
l'ultima invenzione: il film sonoro e parlato.
Un primo tentativo con il sistema Witaphon dette scarsi risultati.
Il film intitolato «Fiamme d'oriente» fu interpretato
da Billie Dove e Warner Holand.
Il primo film sonoro vero e proprio fu «Il cantante pazzo»
dal titolo originale «Il cantante di jazz»interpretato
da Al Jolson e prodotto anch'esso dalla Warner Brothers.
Il film sonoro doveva provocare in seguito la fine del primato americano
dell'industria cinematografica perché, non esistendo ancora il doppiaggio,
le copie che giungevano in lingua inglese apparivano sullo schermo
con la didascalia in italiano sulla base del fotogramma e ciò era
molto fastidioso.
Cinecittà
In Italia il regime di allora, visto che il cinema era un ottimo
mezzo di propaganda, favorì la rinascita dell'industria cinematografica
nazionale ed a Roma sorse Cinecittà.
I primi «studi» furono impiantati dalla Cines-Pittaluga
e nel 1939 apparve il primo film italiano, come si diceva allora,
sonoro, cantato e parlato al cento per cento: «La canzone
dell'amore» interpretato da Elio Steiner, di recente scomparso,
Dria Paola ed Isa Pola.
La Televisione (fatto strano o normale?) non ha mai mandato in onda
quel film. Sarebbe opportuno farlo anche per fare un po' la storia
del cinema perché, se le cose vecchie sono da «saponari»,
quelle molto vecchie hanno più valore perché diventano pezzi d'antiquariato.
Con pochi mezzi a disposizione, con le cineprese a manovella e le
pellicole in bianco e nero, si «giravano» grandiosi
film storici con migliaia di comparse ed inquadrature panoramiche
stupende, si costruivano intere città; oggi, invece, malgrado il
colore, malgrado i mezzi di produzione tecnicamente perfetti e gli
schermi panoramici, le inquadrature si limitano al letto, al cesso,
al bidet o a pochi centimetri quadrati di epidermide più o meno
liscia o anfrattuosa alla cui vista i «guardoni» «contronaturalmente»
si sollazzano. Questa è la fine che ha fatto la decima Musa.
***
Tornando allo spunto iniziale, che ha dato l'avvio a queste chiacchiere
e apprendendo la notizia della retrocessione di un bel gruppo di
santi in serie B, in serie C o addirittura della loro squalifica,
pare che anche oltre Tevere il silenzio sia diventato cosa rara.
A questo punto sento il silenzio che mi invita a fare ... silenzio.
- Hai ragione, silenzio! Eri oro, sei platino, e dopo il mio
scritto, sei stronzio!
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