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Articolo di
Nino Longobardi

tratto da
IL MATTINO D'ITALIA
del 20- 07- 1952

(terza pagina)

 
 
NELLA CAPITALE DEL CORALLO
 
La festa dei "Quattro Altari"
Quest'anno ha la Torre Eiffel
di NINO LONGOBARDI

«Parigi non è sempre Parigi: può anche essere Torre del Greco!».
Nei discorsi di queste sere al caffè Palumbo di Torre del Greco che è posto proprio all'ingresso della città dove partono e arrivano tranvai e pulmans che collegano la cittadina vesuviana con Napoli non si parla d'altro che della festa dei "Quattro Altari".
E: «Parigi non è sempre Parigi: ma può anche essere Torre del Greco » per il semplice fatto che quest'anno a dare il benvenuto ai visitatori che vengono alla festa proprio accanto al Caffè Palumbo i torresi hanno costruito una Torre Eiffel luminosa che raggiunge l'altezza di circa quaranta metri dal suolo. Questa «torre Eiffel».
Insieme al risorto «Altare di fabbrica» alla marina è tre le principali meraviglie della festa ma c'è dell'altro poiché quest'anno i torresi più che meravigliare sbalordiscono addirittura.
L'idea di questa luminosa Torre Eiffel da porsi proprio alla porta principale della città l'ha avuta il noto artista Raffaele Raimondo componente del comitato artistico dei festeggiamenti.
Per la festa di quest'anno, che è tra le meglio organizzate di questi ultimi tempi ci volevano grandi idee: idee luminose insomma ovvero idee da tradursi, in luminarie.
Fu così che Raffaele Raimondo qualche giorno fa si rinchiuse in una camera del circolo Morelli in piazza Santa Croce e qui tra un caffè freddo e l'altro, che quelli del comitato non gli fecero mancare, ebbe l'idea della Torre Eiffel che piacque subito a tutti.
Occorre dire che la maggior parte degli altri innumerevoli giochi di lampadine multicolori che dànno in queste notti alla città un aspetto fiabesco da «mille ed una notte» sono uscite dalla fertile fantasia del Raimondo. A tradurle in atto ci ha poi pensato l'elettricista Nicola Del Gatto che ormai in materia si è acquistata una fama indiscussa.
Non c'è una festa a carattere popolare in tutta Italia meridionale nella quale il Del Gatto non sia invitato. Questo mago delle luci si presenta in città, paesi, borghi e villaggi del Sud ed «illumina».
Accade che quando i visitatori arrivano in un luogo dove vi sia festa con luminarie si assicurano prima di tutto che ai piedi delle impalcature che reggono cascate luminose, girandole, mulinelli e via discorrendo ci sia il «gatto nero». E' come un marchio di garanzia ed il «gatto nero» è infatti la sigla con la quale l'artista che appunto si chiama Del Gatto sigla le sue fantastiche luminarie che durano quanto una festa dura ma che sempre hanno da essere perfette.
Così Raffaele Raimondo e Del Gatto hanno illuminato Torre del Greco.
E' sorta la Torre Eiffel come benvenuto al visitatore il quale poi addentrandosi nella cittadina è preso nel vortice delle luminarie sempre nuove, sempre inattese.
E di luminaria in luminaria si passa alla «visita» degli «Altari».
Si chiama la festa dei «Quattro Altari» ma gli altari non sono quattro ma molti di più. Forse il numero quattro piace ai torresi, forse nell'antichissima tradizione del riscatto baronale avvenuto nel 1699 gli altari in origine furono veramente quattro.
Nel circolo degli armatori torresi dove la storia cittadina sta scritta su certi vecchi «mazzi» di carte napoletane che sono passate per le mani di un paio di generazioni di ostinati naviganti, i marittimi che parlano della festa lo fanno con frasi antiche e monosillabi brevi. Abituati ai lunghi silenzi del mare questa gente, parla poco ma il clima della festa traluce anche nei loro volti ed allora dicono la «vera storia di come nacque la festa».
Allora si fa presto a capire che le multicolori lampadine di oggi sono i fuochi di gioia delle notti del 1699 e che gli «Altari», queste alte costruzioni in legno e cartone altro non sono che le rudimentali pitture che secoli fa i torresi sempre in quelle famosi notti e sotto lo stimolo di una immensa gioia frenetica derivante dalla riconquistata libertà disegnarono sui muri delle case col carbone, con le unghie, con il loro innato senso artistico atavico che fa di ogni torrese un artista nato.
A distanza di secoli dando oggi un'occhiata a questi «Altari» si ritrova in qualche metro di tela e cartone l'atmosfera di quella notte che dura nella festa che si ripete.
Sulle impalcatura di legno che stanno agli angoli delle più importanti strade della città la fervidissima fantasia del torrese costringe in un fantastico insieme di contrasti: simboli, allegorie, storia patria, religione, e s'intessono fregi al vero con quell'attaccamento alla terra natia e con il ricordo della «cacciata dei baroni» sulla punta dei pennelli ed il tutto si fonde in una commovente opera d'arte che all'angolo delle strade testimonia l'attaccamento immenso del torrese alla sua terra natia.
E la festa è una generale mobilitazione di tutti gli artisti e gli artefici locali i quali fanno a gara per superarsi in bravura ed il pubblico sarà buon giudice e la lunga sosta del visitatore ai piedi dell'altare sarà la ricompensa migliore per chi lo ha ideato e per coloro che lo hanno costruito.
E gli altari ogni anno vengono eretti ai loro soliti posti. In via Salvator Noto «al tuo cospetto, o Signore, non siamo che polvere», così si intitola l'altare costruito dal signor Sorrentino ed ideato dal prof. Giuseppe Prodromo che ha avuto per suoi coadiutori il fioraio Oculato, Antonio Avenia, Domenico Ancona, Giovanni Ondeggia.
Nella rappresentazione simbolica, perfettamente riuscita, una fola di potenti e di uomini appartenenti a tutte le razze si china di fronte al Cristo Trionfatore.
Da via Salvato Noto in via Fontana dove il notissimo commendatore Nicola Ascione con la collaborazione di Antonio e Stanilslao Sorrentino si mantiene nei limiti della tradizione con la costruzione di una potente roccaforte medioevale che sulla sua più alta torre regge le simboliche statue delle virtù teologali.
Da qui poi in Via Cavour dove l'inesauribile vena creativa di Biagio madonna, Vincenzo Oliviero e Vincenzo Palomba ha fatto rivivere sulla tela un tempio in stile barocco.
Si continua il giro della città e, sempre tra luminarie festanti e bancarelle di ogni genere, si arriva al corso Garibaldi dove «Sansone atterra un leone». E' questo il grande altare di fabbrica che così si chiama per differenziarlo da tutti gli altri che sono in tele e cartone. Il risorto «altare di fabbrica» è la seconda novità di quest'anno. Qui la costruzione ciclopica si fonde con il particolare di squisito buon gusto. Siamo alla Marina ed il mare che fa da sfondo all'altare sembra dipinto a mano tanto qui tutto è irreale ed inatteso. Ed in questo mirabile scenario naturale «Sansone atterra un leone». Il progetto e la esecuzione sono opera dell'affreschista professore Nicola Ascione che ha legato il suo nome da tempo alla festa dei «Quattro Altari».
Seguono poi gli altari di via Agostinella curato da Vincenzo Granata, Carmelo Lombardo, Francesco Sannino. Quello di San Giuseppe alle paludi. (Vincenzo ...nata, Raffaele Di Maio, Alfredo Buonandi) e poi in Via XX Settembre eseguito dal sig. Pasquale Costa con collaborazione di Carlo Parlati, Giovanni Figliolini, Mario Di Lecce, Umberto Crispino. Da qui ancora al Largo Bandito dove «Gesù conforta Giovanni» (Carmelo Lombardo, Vincenzo Granata, Andrea Pesce).
In Piazza Luigi Palomba ancora il pennello del professore Nicola Ascione fa rivivere sulla tela una mirabile ricostruzione di archi e colonne.
E gli altari non sono ancora finiti (altro che quattro) In via Purgatorio l'artista Mattia Mario Barba in collaborazione con Pietro Paolo Paolillo, di Errico e Francesco Ascione, del Cavaliere Di Rosa e dei fratelli Russo ha fissato sulla tela una toccante scena che raffigura il «Dio umile ed onnipotente».
Infine in via Venerabile Vincenzo Romano ancora un progetto di Nicola Ascione con esecuzione del prof. Alfonso La Fera nel fondo dell'ampia strada una rievocazione della «Chiesa Cattolica». Coadiutori: Ciro Trapanese, Gaetano Capo e Pasquale Sorrentino.
Questi gli altari ma le meraviglie non sono finite. Si passa ai «tappeti». I «segreti» tappeti di Torre del Greco noti in tutto il mondo. Sono i tappeti di fiori che gli artisti disegnano sul pavimento nell'interno delle chiese mirabili mosaici che un soffio può cancellare ma che l'arte immortala.
Quest'anno i tappeti raffigurano: «La natività della Vergine» (Raffaele Guarracino), «Cristo risana il cieco» (Ciro Borriello), «Comunione del Girolamo del Domenichino» (Antonio Velardo), «Ecce Homo» (Salvatore D'Amato), «Il transito di San Giuseppe» (Salvatore Seme), «La messa di San Basile dinanzi all'imperatore Valente» (G. D'Istria).
Dagli altari ai tappeti di fiori e poi suoni, canti e musiche a non finire per questa festa che quest'anno vuole battere tutti i precedenti records illuminando anche quelle strade che per il passato, perché poste alla periferia, rimanevano al buio con giuochi di luce sempre nuovi. Per l'occasione sono state mobilitati i due «grandi concerti» della «Città di Ferrandina» diretto l'uno dal maestro cav. Umberto Angoscia e l'altro «Città di Sora» diretto dal maestro comm. Francesco Donatelli i quali eseguiranno musica nella piazza Santa Croce fantasticamente illuminata dalla facciata della grande chiesa omonima.

NINO LONGOBARDI