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e delle pubbliche fontane a Torre del Greco
 
Tratto dal n° 9
de LA TORRE -
27 - 02 - 2000
 
 
 
 
Relazione storica sull'utilizzazione dell'acqua del "Dragone"
e delle pubbliche fontane
a Torre del Greco
 

Dell'acqua della pubblica fontana di Torre del Greco, una prima notizia l'abbiamo da alcuni napoletani del '600, quali il D'Engenio, il Beltrano ed altri (1671). Così scrivono:
"La Torre del Greco, la quale sebbene viene compresa col Territorio di Napoli, non è altrimenti Casale, ma Castello ben munito, e abitato da persone civili. Questo Castello è situato presso la riva del mare in luogo eminente, e nella rupe che sovrasta il lido del mare alle falde del Vesuvio, fu la villa d'Alfonso I, vaghissima per vista c'havea (sic) verso Napoli, Sorrento, l'isola di Capri e il Promontorio di Miseno insieme con gli altri luoghi marittimi.
Sotto la Villa vi è un bel fonte di chiare e fresche acque, ove il detto Re nel tempo dell'estate solea spesso diportarsi".
A quei tempi il detto "fonte" (non si parlava ancora di fontana) era talmente vicino alla battigia, che fu necessario costruire un muro di difesa, onde evitare che col mare agitato o con l'alta marea, l'acqua marina si versasse in esso fonte.
Il 16 dicembre del 1631 il Vesuvio, inattivo da circa mezzo millennio, riprese la sua attività con una catastrofica eruzione come quella del 79 d.C.
Con l'eruzione, e anche dopo, per i detriti di cenere, sabbia e pietre eruttate dal vulcano e trasportato fino al mare dalle alluvioni che seguirono, la riva risultò allontanata di parecchio dalla rupe del Castello, per la formazione di una nuova fascia di terra, dai torresi chiamata "mare seccato".
Il sovrastante Castello, frattanto si sgretolava col passare del tempo. Le torri di difesa erano già crollate da circa due secoli (forse) il 5 dicembre 1456, per un violentissimo terremoto, per la continua erosione delle onde del mare e della salsedine, anche parte dell'ampio cortile quadrato era franato successivamente seppellendo sotto le macerie il fiumiciattolo che, malgrado tutto, continuava a serpeggiare sulla nuova terra, riversandosi in mare.
Il nostro grandissimo concittadino Francesco Balzano, conosciuto da noi torresi, più storico che poeta, il grande poeta dialettale del Seicento, tale da essere definito dall'abate Galiani, il Tetrarca del dialetto napoletano, rimasto nell'ombra per aver firmato il suo poema "La Tiorba a Taccone" col pseudonimo di "Filippo Sgruttendio da Scafati" …Francesco Banzano dicevo, così descrive il "quadro": "…benché il luogo sia in gran parte sotterrato, e di sassi ripieno, a cui vicino il mare, come in tutta la riviera, che poi nell'incendio del Vesuvio dell'anno 1631, tirandosi addietro, e discosto un tiro di moschetto, queste acque uscendo alla scoperto, formano un piccolo rio, portandosi placidamente a dare al mare quello poco tributo che possono". E così prosegue:
E' questo luogo, dove l'acqua, con piccoli bolli, esce buona ancora a bere, come quella dell'altro fonte poco discosto, chiamato da' paesani la fontana dello Monaco che con recinto di mura e disopra coperto di lamia, dà comodo e secreto ricovero alle donne per lavarvi i loro panni, proibito con pene dell'Università a che si sia Huomo l'entrarvi, essendovi femine".
La fontana "dello monaco", più fonte che fontana, era alquanto antica. Nel 1547 già esisteva e, come abbiamo detto al principio, era protetta da un muro che impediva al mare di invadere la fonte.
Il barone del tempo, Fabrizio Carafa, non avendo potuto mettere le mani sul corallo dei torresi, per vendicarsi ordinò ad un suo giannizzero , un certo capitano Fabio Lembi, di demolire il muro di protezione. Ma quando il Lembo con alcuni operai armati di picconi si apprestavano ad eseguire gli ordini ricevuti dal barone, i torresi insorsero capitanati da tale Pietro Ascione il quale rivolto contro al capitano delle guardie, con tono alquanto minaccioso, lo apostrofò con queste parole : "Se tu sfabbrichi lloco, io ti butterò da lloco"…
L'acqua che affluisce alla zona da noi limitatamente circoscritta, è una minima parte di quella esistente nel sottosuolo. <Francesco Balzano lo affermava nel 1688, quando scriveva:
"…benché sotterranea cammini, si diffonde per tutto queste marine dal capo dell'Angino, ch'è un miglio distante dalla Torre Annunciata, fino al Granatiello",
Più tardi, nella seconda metà del Settecento, lo confermerà un altro cittadino torrese, non meno grande di Francesco Balzano, il naturalista Gaetano de Bottis, come vedremo da qui a poco.
Nel '700 l'acqua, che gli storici unanimemente ritengono essere quella del fiume Dragone, sotterrato e disperso in epoca immemorabile da un eruzione del Vesuvio ( forse quella del 685) alimentava i lavatoi sotto la scala della "ripa" , proprio allo stesso punto di oggi, mentre un altro rivolo, incanalato rudimentalmente conduceva l'acqua alla fontana "dello monaco" e cui accennava il Balzano, e si trovava come si è detto, a metà tra le scale della "ripa" e la sommità dello scalone dell'attuale fontana. Detto tratto era denominato via del Fiumarello.
Per l'inefficienza dei condotti l'acqua si era impaludata e poi dispersa, diminuendo sensibilmente la portata. Ma grazie a Gaetano de Bottis, i torresi non restarono senza l'acqua.
Con arditi scavi egli riuscì a raccogliere l'acqua dispersa e a rintracciare dell'altra, convogliandola in nuovi e più idonei formali, nonostante il dissenso della popolazione che ad un certo punto, nel vedere i lavori svolgersi tra infinite difficoltà, temeva perfino di perdere l'acqua che già esisteva, anche se era scarsa e torbida. Però il de Bottis non perse mai la fiducia in se stesso.

LE CENTO FONTANE

La storia della nostra città, tanto preziosa quanto poca per il vulcano che ci sovrasta, rivive in ogni vecchio edificio, in ogni monumento e perfino nelle pietre. Tutto ci ricorda i nostri Avi che amarono la loro città, da ricostruirla più bella e in poco tempo, ogni qualvolta il Vesuvio la distruggeva e, tanto più eroicamente, senza attendere l'aiuto chicchessia, come afferma Pietro Colletta a proposito dell'eruzione del 1794, con la seguente esclamazione:
"Furono le cure del Governo solamente pietose, impedita la liberalità dalle strettezze dell'erario.
In breve tempo, sopra il suolo ancora caldo, videsi alzare nuova città, soprapponendo le case alle case distrutte, e le strade alle strade, templi ai templi.
Possente amor di patria che, dopo tanti casi di sterminio, si direbbe cieco e ostinato se in esso potesse capir difetto!"
Conservate, perciò, l'aspetto della Fontana così come era e come è, certamente, nei propositi della Civica Amministrazione, significa, oltre a rispettare la storia, perpetuare la memoria dei torresi per
i loro operosi ed eroici antenati.

Novembre 1978 Raffaele Raimondo.