Dell'acqua della pubblica fontana
di Torre del Greco, una prima notizia l'abbiamo da alcuni napoletani
del '600, quali il D'Engenio, il Beltrano ed altri (1671). Così
scrivono:
"La Torre del Greco, la quale sebbene viene compresa col Territorio
di Napoli, non è altrimenti Casale, ma Castello ben munito,
e abitato da persone civili. Questo Castello è situato presso
la riva del mare in luogo eminente, e nella rupe che sovrasta il
lido del mare alle falde del Vesuvio, fu la villa d'Alfonso I, vaghissima
per vista c'havea (sic) verso Napoli, Sorrento, l'isola di Capri
e il Promontorio di Miseno insieme con gli altri luoghi marittimi.
Sotto la Villa vi è un bel fonte di chiare e fresche acque,
ove il detto Re nel tempo dell'estate solea spesso diportarsi".
A quei tempi il detto "fonte" (non si parlava ancora di
fontana) era talmente vicino alla battigia, che fu necessario costruire
un muro di difesa, onde evitare che col mare agitato o con l'alta
marea, l'acqua marina si versasse in esso fonte.
Il 16 dicembre del 1631 il Vesuvio, inattivo da circa mezzo millennio,
riprese la sua attività con una catastrofica eruzione come
quella del 79 d.C.
Con l'eruzione, e anche dopo, per i detriti di cenere, sabbia e
pietre eruttate dal vulcano e trasportato fino al mare dalle alluvioni
che seguirono, la riva risultò allontanata di parecchio dalla
rupe del Castello, per la formazione di una nuova fascia di terra,
dai torresi chiamata "mare seccato".
Il sovrastante Castello, frattanto si sgretolava col passare del
tempo. Le torri di difesa erano già crollate da circa due
secoli (forse) il 5 dicembre 1456, per un violentissimo terremoto,
per la continua erosione delle onde del mare e della salsedine,
anche parte dell'ampio cortile quadrato era franato successivamente
seppellendo sotto le macerie il fiumiciattolo che, malgrado tutto,
continuava a serpeggiare sulla nuova terra, riversandosi in mare.
Il nostro grandissimo concittadino Francesco Balzano, conosciuto
da noi torresi, più storico che poeta, il grande poeta dialettale
del Seicento, tale da essere definito dall'abate Galiani, il Tetrarca
del dialetto napoletano, rimasto nell'ombra per aver firmato il
suo poema "La Tiorba a Taccone" col pseudonimo di "Filippo
Sgruttendio da Scafati"
Francesco Banzano dicevo, così
descrive il "quadro": "
benché il luogo
sia in gran parte sotterrato, e di sassi ripieno, a cui vicino il
mare, come in tutta la riviera, che poi nell'incendio del Vesuvio
dell'anno 1631, tirandosi addietro, e discosto un tiro di moschetto,
queste acque uscendo alla scoperto, formano un piccolo rio, portandosi
placidamente a dare al mare quello poco tributo che possono".
E così prosegue:
E' questo luogo, dove l'acqua, con piccoli bolli, esce buona ancora
a bere, come quella dell'altro fonte poco discosto, chiamato da'
paesani la fontana dello Monaco che con recinto di mura e disopra
coperto di lamia, dà comodo e secreto ricovero alle donne
per lavarvi i loro panni, proibito con pene dell'Università
a che si sia Huomo l'entrarvi, essendovi femine".
La fontana "dello monaco", più fonte che fontana,
era alquanto antica. Nel 1547 già esisteva e, come abbiamo
detto al principio, era protetta da un muro che impediva al mare
di invadere la fonte.
Il barone del tempo, Fabrizio Carafa, non avendo potuto mettere
le mani sul corallo dei torresi, per vendicarsi ordinò ad
un suo giannizzero , un certo capitano Fabio Lembi, di demolire
il muro di protezione. Ma quando il Lembo con alcuni operai armati
di picconi si apprestavano ad eseguire gli ordini ricevuti dal barone,
i torresi insorsero capitanati da tale Pietro Ascione il quale rivolto
contro al capitano delle guardie, con tono alquanto minaccioso,
lo apostrofò con queste parole : "Se tu sfabbrichi lloco,
io ti butterò da lloco"
L'acqua che affluisce alla zona da noi limitatamente circoscritta,
è una minima parte di quella esistente nel sottosuolo. <Francesco
Balzano lo affermava nel 1688, quando scriveva:
"
benché sotterranea cammini, si diffonde per tutto
queste marine dal capo dell'Angino, ch'è un miglio distante
dalla Torre Annunciata, fino al Granatiello",
Più tardi, nella seconda metà del Settecento, lo confermerà
un altro cittadino torrese, non meno grande di Francesco Balzano,
il naturalista Gaetano de Bottis, come vedremo da qui a poco.
Nel '700 l'acqua, che gli storici unanimemente ritengono essere
quella del fiume Dragone, sotterrato e disperso in epoca immemorabile
da un eruzione del Vesuvio ( forse quella del 685) alimentava i
lavatoi sotto la scala della "ripa" , proprio allo stesso
punto di oggi, mentre un altro rivolo, incanalato rudimentalmente
conduceva l'acqua alla fontana "dello monaco" e cui accennava
il Balzano, e si trovava come si è detto, a metà tra
le scale della "ripa" e la sommità dello scalone
dell'attuale fontana. Detto tratto era denominato via del Fiumarello.
Per l'inefficienza dei condotti l'acqua si era impaludata e poi
dispersa, diminuendo sensibilmente la portata. Ma grazie a Gaetano
de Bottis, i torresi non restarono senza l'acqua.
Con arditi scavi egli riuscì a raccogliere l'acqua dispersa
e a rintracciare dell'altra, convogliandola in nuovi e più
idonei formali, nonostante il dissenso della popolazione che ad
un certo punto, nel vedere i lavori svolgersi tra infinite difficoltà,
temeva perfino di perdere l'acqua che già esisteva, anche
se era scarsa e torbida. Però il de Bottis non perse mai
la fiducia in se stesso.
LE CENTO FONTANE
La storia della nostra città, tanto preziosa
quanto poca per il vulcano che ci sovrasta, rivive in ogni vecchio
edificio, in ogni monumento e perfino nelle pietre. Tutto ci ricorda
i nostri Avi che amarono la loro città, da ricostruirla più
bella e in poco tempo, ogni qualvolta il Vesuvio la distruggeva
e, tanto più eroicamente, senza attendere l'aiuto chicchessia,
come afferma Pietro Colletta a proposito dell'eruzione del 1794,
con la seguente esclamazione:
"Furono le cure del Governo solamente pietose, impedita la
liberalità dalle strettezze dell'erario.
In breve tempo, sopra il suolo ancora caldo, videsi alzare nuova
città, soprapponendo le case alle case distrutte, e le strade
alle strade, templi ai templi.
Possente amor di patria che, dopo tanti casi di sterminio, si direbbe
cieco e ostinato se in esso potesse capir difetto!"
Conservate, perciò, l'aspetto della Fontana così come
era e come è, certamente, nei propositi della Civica Amministrazione,
significa, oltre a rispettare la storia, perpetuare la memoria dei
torresi per
i loro operosi ed eroici antenati.
Novembre 1978 Raffaele Raimondo.
|