di Raffaele Raimondo
La denominazione Torre del Greco non è altro
che il nome volgare, cioè dialettale, attribuito alla località
per il vino ricavato da una qualità di uva greca ivi coltivata.
Da questo il nome "Torre d' 'u ghrieco", e non
"Torre d''u grieco". La denominazione all'origine esclusivamente
fonica, cioè parlata, mala interpretata fece capire che fosse
derivata da un fantomatico romito greco che, sulle pendici del Vesuvio,
preparava quel vino. Successivamente il nome volgare cominciò
ad apparire, tradotto in italiano, anche negli scritti. L'equivoco
sorse perchè le due versioni: quella esatta: "Torre
d''u ghrieco" e quella errata: Torre d' 'u grieco, tradotto
in italiano danno sempre Torre del Greco. Insomma la nostra città
ha un nome di... vino...
Torre del Greco, spesso orribilmente danneggiata
e altre volte totalmente distrutta dalle eruzioni del vicinissimo
vulcano, è sempre risorta più bella e fiorente di
prima, soltanto per la tenacia e le virtù dei suoi figli,
senza aiuti di chicchessia, come avvenne dopo l'eruzione del 1794.
L'eroismo dei torresi è scritto a caratteri d'oro nella "Storia
del Reame di Napoli" di Pietro Colletta.
"Furono le cure del Governo solamente pietose, impedita
la liberalità dalle strettezze dell'erario..." (il
re "nasone" se ne infischiò della "spugna
d'oro" del suo regno: se ne scappò a Sessa Aurunca con
tutta la famiglia). Eppure, continua a scrivere Coletta: "In
breve tempo, sopra il suolo ancora caldo, videsi alzare nuova città,
sopraponendo le case alle case distrutte, e le strade alle strade,
i templi ai templi" (qui rifulse di luce santa, il parroco
di S.Croce, Vincenzo Romano). "Possente amor di patria che,
dopo tanti casi di sterminio, si direbbe cieco ed ostinato, se in
esso potesse capir difetto".
Fu proprio Il Vesuvio con le sue frequenti eruzioni e con le sue
esalazioni malefiche che distruggevano e le sementi ed i raccolti,
a spingere i torresi verso il mare e a tramutarli, da pastori e
contadini che erano, in abilissimi costruttori di navigli d'ogni
genere, in intrepidi navigatori ed arditi pescatori di corallo.
La pesca del coralloè tutta una storia di corsari barbareschi,
di rapine subite, di lunghe schiavitù in terra d'Africa,
di morti crudeli e di feroci combattimenti che i torresi dovettero
affrontare con indomito coraggio, per la tracotanza dei predatori
arabi e turchi. Ancora oggi, per indicare una situazione estremamente
critica e pericolosa in cui si sono trovati, usano dire: "mmë
vëriéttë pigliatö r' 'i turchë".
A tutto questo vanno aggiunte le avversità naturali. Un caso
disastroso avvenne agli inizi della "campagna" di pesca
del 1869: le 300 barche salpate pochi giorni prima, furono sconquassate,
sbaragliate e disperse da una spaventevole tempesta che sconvolse
tutto il Mediterraneo. L'anno appresso ne partirono 400.
La "campagna" per la pesca "d ''u ccurèllo",
aveva inizio, verso la fine di marzo, se il tempo era buono, o verso
i primi d'aprile, e terminava il giorno della festa del Rosario.
Proprio il sette di ottobre, i torresi, in qualunque punto si trovavano
per la pesca, issavano a bordo l'''ingegno", spiegavano
le vele e drizzavano la prua sulla via del ritorno; perciò
le giornate di ottobre erano di attesa impaziente per le donne torresi.
Il tempo di durata della pesca del corallo, dall'inizio alla fine,
è racchiuso, in un colloquio tra due donne ed è un
vecchio canto popolare prettamente torrese (inizi dell'800).
E' una nenia che mio padre cantava spesso, durante il lavoro, di
cui io ricordo solo il motivo degli ultimi quattro versi. Trascrico
il brano con gli accenti sulle vocali a, e, o che, nella "parlata"
torrese, hanno un suono indistinto o muto:
Stäsérä së nnë vannö i märënärë,
së spàrtënö i maritë d' 'i muglièrë,
äccussì së spartärrännö i nnämmurätë.
Stattë bbònä nnämmuratèlla mia,
cë vërimmö quannö vènë 'a rëfriscatä
A uttombrë turnärrännö i märënärë,
e 'ncopp' 'A SCARPETTA (1) a mmarë,
llà cë jamm' 'a dimandà:
- Ah Fiè (2) è venutö 'u tujë,
e 'u miö quannö vènë?!...
Só' settë misë ovèrö
nun mme firë 'aspettà cchiù!...
(1) 'A SCARPETTA = Scivolo
naturale, scolpito sul basalto della lava del 1794. Viene utilizzato
dai valentissimi carpentieri torresi per il varo delle grosse imbarcazioni
ed è ubicato in località "Portosalvo" di
Torre del Greco.Eppure non si crederebbe, la scrittrice Gina Algranati
colloca la "scarpetta" a.... Pozzuoli, la chiama "banchina";
poi fa durare la pesca delle alici al largo di Capo Miseno.."otto
o nove mesi , con provviste a bordo dei...pescherecci...di legumi,
olio, lardo, pasta e gallette" ...Ma 'a vulimme furnì!!!!...
(2) FIE' = Abbreviazione tronca del
nome femminile "Fièla" cioè Rafaèla.
A quei tempi non poteva essere Lalla nè, tantomeno, Silvana,
Wanda o Patrizia...
All'<<Esposizione Internazionale Marittima>>
che ebbe luogo a Napoli nel 1871, il sindaco della nostra città,
Beniamino Nola, ricevette dalle mani di Vittorio Emanuele II, il
massimo premio che la Giuria con voto unanime volle assegnare alla
città di Torre del Greco, col quale ..."s'intendeva
benedire a molte generazioni di uomini forti che non dissimili dal
mercante lombardo che tesseva, trafficava e combatteva, sfidarono
gli ardori del sole africano, le tempeste del mare e nemici fedifraghi
e crudeli".
La "Festa dei Quattro Altari" non l'hanno
inventata i torresi. E' di origine spagnuola e sta a significare
l'Universalità dell'Eucarestia, e i quattro altari simboleggiano
i continenti conosciuti all'epoca dell'istituzione della festa.
Prima che venisse celebrata a Torre del Greco, già si celebrava
a Napoli fin dagli inizi del '600. I quattro altari venivano eretti
al Largo del Castello e la processione con il Sacramento dell'Eucarestia,
usciva dalla chiesa di S. Giacomo degli Spagnuoli. I torresi, con
il loro gusto artistico, in tempi più vicini a noi, la innalzarono
al rinomato sfarzo da tutti riconosciuto. Con la festa i torresi
intendono ringraziare il Signore per l'indipendenza acquisita, non
senza sacrifici, il 14 giugno 1699, col "Riscatto Baronale".
In occasione della Mostra retrospettiva
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