Dal settimanale letterario napoletano «Fortunio» del
19 agosto 1892
«A Resina, a Torre del Greco, folla di signore negli Hòtels
e nelle casinette»
(Non equivochiamo. E' il nome settecentesco delle villette).
«A Villa Aprile sono l'on. Salandra con tutta la famiglia,
la contessa Fiume con la sua bellissima figliuola signorina Eugenia,
la signora Luciana Mosca, la signora Almerinda Persico e poi, sparse
altrove, la signora Sorvilllo-Falconieri, la baronessa Ricciardi,
la contessa di Buccino, la principessa d'Ottaiano, la marchesa Dugenta
e la sua adorabile figliuola, la signora Moscarella, la signora
di Lorenzo e tante, tante altre.
Alla pensione «Eden» ozia elegantemente il taciturno
Roberto Bracco, A Villa Polese lavora alacremente il geniale Enrico
de Leva ...». Fin qui avete letto alcuni «mosconi»
apparsi nel numero del 19 agosto 1892 del «Fortunio»,.
settimanale letterario napoletano diretto da Giulio Scalinger (una
copia costava centesimi 10 e l'abbonamento annuo lire 6,00).
L'on. Antonio Salandra
contava 39 anni e doveva attendere altri ventidue anni (1914)
per divenire Presidente del Consiglio dei ministri, ma già era sottosegretario
alle Finanze.
Roberto Bracco,
trentenne, dieci anni prima nel 1882 aveva pubblicato «Salemelic»,
la sua prima canzone.
Cu
'na faccia assaie cchiu nera
de 'na cappa 'e cemmenera.
Rossa, 'ncapo, 'na sciascina
Comm 'a tturco de la Cina ...
Io me paro 'nu pascià.
Ma nun tengo che mangià.
e nel 1887 «Cumme te voglio amà».
Però fra una canzone e l'altra don Roberto
scriveva per il teatro.
Egli fu giornalista, poeta, commediografo e drammaturgo.
***
I terminali del «Miglio d'oro»
Villa Aprile a Resina ed il Caffè Palumbo a Torre del Greco
segnavano i due terminali del famoso «Miglio d'oro».
Dico segnavano perché, se così si potesse dire, il «Miglio
d'oro» è una cosa che fu, il caffè Palumbo è una cosa che
è stata. Villa Aprile non è più quella di una volta, Resina ha cambiato
nome (noblesse obblige) e Torre del Greco ha cambiato volto.
Non è stata necessaria, poi, troppa bravura per realizzare tutti
questi mutamenti: sono bastate l'ingordigia del denaro (les affaires
sont les affaires, sto imitando don Ciccio Brancaccio) e l'accondiscendenza
di uomini mediocri che, preposti alla difesa di quelle bellezze
e di quelle opere d'arte, hanno, invece, collaborato con i pari
loro, nella deturpazione di questa strada che era una delle più
belle del mondo.
Fino al principio degli anni venti di questo secolo essa
era ancora incorniciata dal viola del Vesuvio, dalle azzurre acque
del Golfo, dal verde cupo dei boschi, da quello tenero dei prati
e dei giardini e dalla policromia delle aiuole fiorite.
Berline e landaus, verso il tramonto e fino a tarda notte,
percorrevano il Miglio e, specialmente nei mesi estivi, la vita
si svolgeva allegra e spensierata.
Le arcate barocche erano illuminate dai lanternoni; dalle finestre
filtrava la luce fioca delle lampade elettriche del tempo e qualche
pianoforte mandava giù nella strada le note di un valzer. Il vociare,
le scoppiettanti risa delle ragazze e dei giovanotti e la cadenzata
marcetta suonata dall'orchestrina lasciava intendere che stavano
ballando una quadriglia. La luna con le ombre dei lecci e degli
eucalipti stendeva sulla strada una coltre di merletto ...
Lo pseudo-sociologo, modernista a tutti i costi (come se per
essere moderni, sia necessario distruggere il passato), potrebbe
accusarmi di fare l'apologia della nobiltà. Quella classe sociale
parassita e di mentalità feudale, scomparsa, che certamente non
tornerà più.
Però lo pseudo-sociologo modernista ecc., riesce a raggranellare
del danaro (cosa abbastanza facile per lui), subito va in cerca
del «suolo», in posizione panoramica, dove costruire
una villa, la «sua» villa, quella propria. Poi corre
difilato a Napoli, si reca precipitosamente nei pressi dell'Università,
all'angolo di via Mezzocannone a comprare lo stemma di famiglia
dal quale risulti che i suoi antenati erano Goffredo di Buglione,
Cane della Scala, Lorenzo de' Medici o il Conte di Tolosa, se non
addirittura Carlo Magno o Alfonso d'Aragona.
E lo stemma fasullo disegnato ed acquarellato in maniera orribile,
a cui nessuna sia pur costosissima cornice potrà mai dare neanche
il minimo valore, troneggia sula parete del salone della nuova villa.
Ma esso invece riesce solo a qualificare senza equivoci la vera
discendenza della «casata» e il gusto pacchiano, perché,
inutile dirlo, una legnaia o una rimessa di una delle Ville del
Miglio d'Oro che cadono a pezzi, vale cento volte la nuova villa
dall'architettura da quattro soldi.
***
Iniziamo da Villa Aprile.
La sua denominazione non si riferisce al quarto mese dell'anno,
come facilmente si potrebbe credere, ma al nome degli ultimi proprietari
che l'acquistarono nel 1879. Il Celano così ne inizia la descrizione
(1782):
«La bella Villa Riario, può chiamarsi la regina delle Ville,
non solo di questi luoghi, ma di tutta Napoli, di quelle che a privati
appartengono, niuna essendovene, che la eguagli in magnificenza,
buon gusto e plendidezza».
In un angolo del magnifico parco, se non è stata distrutta,
dovrebbe ancora esistere una riproduzione della tomba dei due celebri
amanti Pietro Abelardo ed Eloisa. Tomba vuota, naturalmente, perché,
le ceneri dei due, ove ancora esistessero, si trovano nel cimitero
parigino del Père Lachaise. Morino l'uno il 21 aprile del 1142 e
l'altra il 20 marzo del 1163 (il mascolo si «avvia sempre
per primo»).
Ho citato questa curiosità storica per ricordare il popolare
detto in uso ancora oggi per definire l'individuo che ne ha fatte
di cotte e di crude: «Ha fatto cchiù isso ca Pieto Baialarde».
Dirimpetto alla Villa e quindi sul lato mare, c'era una osteria
che sulla porta recava questa iscrizione:
Nfeccia si vuò 'ngrassare asciutta vutte:
Ca l'Ommo tanto è Ommo quanto sciacqua
Ver ' è ca nuje 'ngrassammo a votte d'acqua
Ca lu Patrone 'nce mantene asciutte
***
Quest'altra è la vanvitelliana Villa Sangro
dei duchi di Campolieto.
Nel vedere in che stato pietoso è ridotta ci si sente serrare la
gola.
Ed ecco anche l'ex Convento
dei frati francescani con la chiesetta.
Da questo convento veniva a casa mia, ogni giovedì, per la questua,
un frate con la fluente barba bianca. Dopo avermi benedetto col
cordone ed avermi fatto baciare il crocifisso, mi dava una manciata
di fave abbrustolite o alcuni confetti «cannellini».
Che dolci ricordi! Non sapevo ancora parlare: - Mamma è venuto
ù «mocano» gridavo gioiendo, e mia madre: - Non
si dice il monaco, si dice San Francesco!
Scusate la divagazione e acceleriamo il passo piuttosto, onde
evitare ai nostri occhi la penosa visione di questa meraviglia architettonica
ridotta un cumulo di calcinacci.
Ed ecco ancora la «Regal
Favorita».
Questa Villa apparteneva al principe di Aci, siciliano, già Capitano
delle truppe del Re.
Si entra nell'edificio attraverso due portoni; l'immenso parco
degradante fino al mare è formato di scalini e di ampi viali costellati
di erme marmoree. Al tempo del suo massimo splendore, nel parco
erano disseminati parecchi «cafè» con ogni sorta di
comodi per il riposo ed il divertimento.
Nel 1768 fu dato un sontuoso festino in occasione delle nozze di
Ferdinando IV e Maria Carolina. Intervennero lo imperatore e l'imperatrice
d'Austria, Leopoldo e Maria Luisa di Borbone, granduchi di Toscana.
La festa fu talmente sontuosa, tanto fastose furono l'illuminazione,
la copiosità e la squisitezza dei rinfreschi, che l'imperatore d'Austria,
suocero del Re, affermò con entusiasmo di
«non aver egli cosa simile veduta» (Celano).
Successivamente acquistata dal Re, fu adibita ad Accademia
Navale per gli Ufficiali della Flotta Napoletana che aveva sede
a Portici.
Con la fine dei Borboni la Villa divenne proprietà del Demanio dello
Stato e
ospitò il Kedivè d'Egitto, un antenato di Re Faruk, anch'egli un
ottimo «sciampagnone». Venne alla «Favorita»
con la sua corte e il suo piccolo harem.
Fantasticherie popolari sulla vita del principe Kedivè d'Egitto,
ospite della Villa.
Il principe egiziano dimorò in questa villa circa tredici anni,
durante i quali «accumulò» novantacinque milioni di
debiti. (F. dell'Erba « Napoli - Un guarto di secolo»,
cifra enorme anche per un principe: siamo nel 1885.
Le finestre furono fornite di fitte grate come nei monasteri. Il
popolo cominciò a fantasticare e molte leggende scaturirono dalla
mente popolare intorno alla vita che il principe orientale conduceva
nel mistero di quel grande palazzo.
Un migliaio di donne, secondo la credenza, formava il gigantesco
harem del Pascià. La fantasia supera sempre la realtà e quella volta
la superò di molto. In realtà le donne erano trentatrè, così suddivise:
tre odalische o principesse, ognuna delle quali aveva cinque dame
di compagnia; ogni dama di compagnia era servita da cinque schiave
e tutte servivano il Kedivè.
Dalla presenza dei detti personaggi alla «Favorita»
è rimasta traccia in un detto popolare.
Infatti dai torresi, qualsiasi levantino o africano delle coste
mediterranee, qualunque fosse il colore della pelle, bianco o nero,
veniva sempre chiamato turco e ancora oggi, nei quartieri della
marina, dove la tradizione è sempre viva, quando si vuole dispregiare
il colorito un po' troppo bruno di qualche «figliola»,
si usa dire che è «'a torca d'à favorita».
«Circolo Pro-Miglio d'Oro»
La regale Villa della Favorita verso la fine del prima guerra
mondiale era proprietà del principe di Santobuono, il quale con
manifestazioni mondane o popolari attirava e manteneva viva l'attenzione
sulla contrada; ancora oggi c'è una lapide, proprio all'altro lato
della strada, che ricorda questa specie di Pro-loco o di Ente Soggiorno
che si appellava proprio «Circolo Pro-Miglio d'Oro».
***
Siamo arrivati a Fiorillo ed entriamo quindi nel
territorio di Torre del Greco. Qui non c'è nulla del settecento
fino alla agonizzante Villa Vallelonga.
All'angolo dal lato mare e ancora nel territorio di Resina,
c'era la trattoria di don Ciccio Stella, rifugio di coppie clandestine.
Ancora pochi passi e vediamo l'attuale Istituto di Santa
Geltrude, qui c'era una volta l'Hotel S. Teresa gestito
da un tedesco, un certo signor Mastaller.
Ed ecco la chiesa con il Convento dei Carmelitani Scalzi.
La chiesa fu edificata a spese del Municipio di Napoli, dopo
lo scampato pericolo dell'eruzione del 1631, e fu intitolata a San
Gennaro; poi, come sempre è avvenuto ed avviene ancora, San Gennaro
venne messo in soffitta: (San Gennà t'aie 'a mòvere! ...).
All'angolo dello spiazzo, verso Capotorre, c'era la Pensione
«Eden» che poteva disporre di 40 camere, gestita
dai fratelli Gargiulo. Al lato opposto verso Resina c'era un'altro
albergo denominato «La Rocca del Belvedere».
Dov'è oggi la chiesa di S. Maria del Popolo c'era l'ospedale.
Era una succursale degli Incurabili di Napoli. Fu
eretto nell'anno 1586 da don Ferrante Bucca di Aragona ed in pieno
ottocento vi si curava l'artrite ed i dolori reumatici col bagno
delle vinacce e dicono che la cura riusciva di gran giovamento (F.
Alvino, 1845).
***
Le luci si sono accese, è sopraggiunto la sera, bisogna
affrettarsi, perché questo vento
gelato ... di giugno è abbastanza noioso.
All'angolo di quella strada sfolgorante di luci, o meglio di quel
vicolo che fa impallidire di rabbia Place Vendome e la Fifty Avenue,
detta via Cimaglia, proprio nell'attuale proprietà Perna, i fratelli
Gargiulo impiantarono, ivi trasferendosi dall'angolo di S. Teresa,
un altro albergo e lo chiamarono Pensione «Suisse e Belvedere».
Dirimpetto c'è il giardino pensile della Villa Santoponte
oggi Liguori.
Guardatela la villa Vallelonga,
scattate qualche fotografia e conservatela, perché tra poco non
la vedrete più.
Lo Stato, la Cassa per il Mezzogiorno ecc. finanziano solo chi vuol
aprire un bar o una trattoria, ma non trovano un centesimo per acquistare,
anche con prepotenza, le opere d'arte da salvare, e per darle in
uso a uffici, musei, scuole, biblioteche, ecc.
Non annoiatevi, siamo alla fine.
Eccoci giunti al punto dove c'era il Caffè Palumbo. Come dite? Sta
piovendo? No, non piove. Sembra. Quest'acqua che cade, e speriamo
che sia acqua, è un fatto cronico.
Volete andar via? Se ... e io mo' ve lasso! Non temete, abbiamo
finito, andiamo verso la conclusione.
***
I fratelli Gargiulo ed il
Nuovo Albergo S. Teresa
Nell'estate del 1921, soggiornava a Villa Vallelonga il
direttore del Conservatorio di S. Pietro a Maiella maestro Camillo
de Nardis con la famiglia ed in quell'anno, a chiusura della «stagione»,
fu organizzata la «Piedigrotta torrese». Promotori furono
tra gli altri il principe di Santobuono, il duca di Valminuta e
gli appassionati e tenaci fratelli Gargiulo che, con i loro sacrifici,
malgrado gli eventi avversi, hanno sempre voluto risorto e più bello
di prima il loro albergo. E' talmente radicato in loro il mestiere,
che da tempo immemorabile il loro cognome non serve più a identificarli:
sono a tutti noti come don Giovanni 'a pensione, don Armando 'a
pensione. (Don Giovanni, purtroppo, ci ha lasciati da poco. Si struggeva
d'amore per Torre del Greco. Era il poeta del «Miglio d'Oro).
Il teatro all'aperto creato dei fratelli Gargiulo
Proprio in quell'anno essi stavano costruendo dalle fondamenta
il Nuovo Albergo S. Teresa e nell'area della costruzione crearono
un Teatro all'aperto ed in quell'estate sul piccolo palcoscenico
si alternarono Pasquariello, Papaccio, Parisi, Elvira Donnarumma,
Armando Gill ed altri, e non poteva mancare Ernesto Tagliaferri.
La Piedigrotta Torrese del 1921
io la ricordo un po' offuscata, dato il tempo trascorso e la
mia tenera età. Sento ancora il calore della gigantesca
mano di mio padre che racchiudeva la mia. Eravamo proprio sotto
il giardino pensile della Villa Santoponte.
Un carro (e non era l'unico), che rappresentava un grammofono a
tromba, passava tra battimani, stelle filanti e coriandoli. Si cantava:
Miglio d'oro! ... Miglio d'oro! ...
La canzone (questo lo seppi in seguito) fu composta, versi
e musica, da quel sentimentalone torrese della più pura acqua, che
risponde al nome di Peppino Raiola.
Carmè tu vi che 'ncanto è o miglio d'oro?!
Me pare nu scenario 'e cose rare!
Cca ttu 'e ssere chistu core
E tutt 'e ssere 'o sento suspirà:
- Miglio d'oro ... miglio d'oro
Cca se 'ncanta tutt'à ggente
Tiene ll'oro overamente
Tiene ll'oro attuorno a tte!
Palazzine fravecate
Mmieze 'e sciure 'e ogni culore
Vurria essere signore
Pe putermele gudé!
La canzone oltre al successo, strappò l'ammirazione del maestro
de Nardis il quale, tramite il principe di Santobuono, volle conoscere
il giovane autore e nel congratularsi aggiunse queste parole: -
Studiate giovanotto caro, avete nel cuore un fiume di melodie. Studiate!
...
La canzone fu eseguita nel teatro all'aperto del Nuovo Albergo
S. Teresa personalmente dall'autore dall'autore e annunziata dagli
scriscioni: «Canta Ramir» l'esimio autore di Miglio
d'Oro... Miglio d'Oro ...
Il 13 settembre 1943
il soffio della morte investì il Miglio d'Oro, un uragano
di ferro e di fuoco si abbatte su di esso. Gli americani, sbarcati
a Salerno qualche giorno prima, per alleggerire le pressione delle
truppe tedesche che li stavano ricacciando in mare, effettuarono
un massiccio quanto inutile bombardamento della strada statale.
Che distruzione ... Quante vittime! Una dolorosa perdita di vite
umane.
Poi venne la pace, la ricostruzione e ancora risorse dalle macerie
il Nuovo Albergo S. Teresa, quello che si vede ora, allegro e civettuolo.
Pareva che il Miglio d'Oro dovesse tornare come prima invece il
pericolo incombe ancora.
Fatta eccezione per il sangue umano versato in quel bombardamento,
si potrebbe dire che quelle distruzioni furono delle carezze al
confronto dello scempio che hanno fatto, stanno facendo e che purtroppo
continueranno a fare, indisturbati, gli speculatori del cemento,
lungo quel tratto di strada che era uno dei più belli del mondo.
N.B. Nell'articolo è inserito
una foto di ROBERTO BRACCO
quando ...oziava alla pensione «Eden».
|