Per una antica consuetudine,
nel pomeriggio del giorno di Pasqua la gente del popolo per la classica
scampagnata, si recava nella zona alta di Resina, cioè a Pugliano.
L'usanza, ancora viva fino ad una quarantina di anni fa,
risaliva al '600 quando i viceré spagnoli di Napoli, ogni anno,
solevano far visita d'omaggio, proprio in quel giorno al Santuario
di S. Maria a Pugliano e, il giorno seguente, a quello della Madonna
dell'Arco.
Senza lavorare troppo di fantasia è facile immaginare le sfarzose
cavalcate di allora e i calessi di Resina inghirlandati.
E se si osservano bene le paranze di fuienti che ancora oggi,
al sopraggiungere della primavera, invadono le strade e i vicoli
della plaga vesuviana, il quadro e bell'è fatto: - Chi è devoto
d' 'a Maronna 'e ll'Arco!...
Infatti nei loro vestiti si notano le caratteristiche degli abiti
dell'epoca viceregnale. E parlando del viceregno, come torrese,
non posso non volgere il pensiero al periodo 1637 - 1644 quando
Viceré di Napoli era il duca di Medina de las Torres marito di Anna
Carafa principessa di Stigliano. che fu padrona di Torre del Greco
dal 1630 al 1644, anno in cui morì ancora in giovane età in quel
di Portici.
UN AMBIZIOSO MATRIMONIO
Don Ramiro de Guzman sposò in prime nozze l'unica
figlia di don Enrico de Guzman conte di Olivares che fu viceré dal
1595 al 1599. Rimasto vedovo ben presto, ebbe la fortuna di aver
trovato una perla di suocero talmente affezionato che si mise subito
all'opera per procurargli un'altra moglie fornita, oltre che di
nobiltà, di un ben consistente patrimonio e la scelta non poteva
non cadere su Anna Carafa.
Il conte di Olivares, uomo potentissimo presso la corte di Madrid,
inviò don Ramiro a Napoli nominandolo castellano della fortezza
di Castelnuovo (Maschio Angioino).
Fatti i relativi approcci e con la promessa da parte dell'Olivares
che dopo il matrimonio don Ramiro sarebbe stato nominato viceré
di Napoli, suocere e genero riuscirono ad ottenere il consenso della
madre della futura sposa Elena Aldobrandini e quello della stessa
Anna ma non quello di Isabella Gonzaga, nonna della principessa,
la quale non si fidava delle promesse dei due spagnuoli.
Il matrimonio fu celebrato nell'ottobre del 1656, nel palazzo degli
Stigliano a Chiaia e la cerimonia fu oltremodo sontuosa anche perché,
proprio in quei tempi, il duca di Parma Odoardo I° Farnese aveva
restituito a Isabella Gonzaga il ducato di Sabbioneta che egli aveva
occupato un anno prima, in attesa di consegnarlo a chi spettava.
A quei tempi Sabbioneta era un centro di cultura e di arte di primaria
importanza tanto da essere denominata la piccola Atene.
I GONZAGA DI SABBIONETA
Isabella Gonzaga che sposò il nonno di Anna, Luigi
Carafa, era l'unica superstite della famiglia dei duchi di Sabbioneta
e a lei spettò il ducato alla morte del padre Vespasiano Gonzaga.
Il possesso le fu sempre contestato fino al 1692, epoca in cui Maria
di Toledo e Velasco, che non fu mai padrone di Torre del Greco,
cedette alla regale Azienda la «piazza» di Sabbioneta
e anche dopo, perché fu reclamata insistentemente dai Gonzaga di
Bozzolo e da quelli di Mantova.
(A proposito, nel nominare Maria de Toledo riteniamo opportuno aprire
questa parentesi a riconferma di quanto è stato già da noi detto
sui baroni di Torre del Greco. Si tratta del feudo di Stigliano
in Basilicata sul quale la R. Camera, in un primo momento, assegnò
6 mila ducati annui per dote e viduità a Maria di Toledo
che non ebbe mai e che altri scrissero che li ebbe addirittura la
cognata duchessa di Medina Sidonia.
Nel giugno del 1696, cioè quattro mesi dopo la transazione di Madrid,
il detto feudo fu venduto dalla R. Camera a Giuliano Colonna principe
di Galatro il quale l'acquistò con denaro della proprio moglie Giovanna
Vandeneyden principessa di Sonnino. Ebbe origine allora la famiglia
Colonna di Stigliano. Chiudiamo la parentesi).
Il padre di Isabella, Vespasiano Gonzaga, nel 1549, all'età di diciotto
anni, mediante rapimento si unì con Diana de Cordona, una focosetta
marchesina siciliana. Nel 1560 al rientro da una guerra (era
un uomo d'armi) trovò Diana leggermente ingrassata, e una lettera
anonima lo informava anche circa l'autore del naturale... ricostituente:
era stato un gentiluomo di corte fin troppo... gentile, un certo
Annibale Ranieri. Immediatamente fece trucidare il Ranieri, poi
tenne rinchiusa la moglie nella stessa cella dov'era stato messo
il cadavere dell'amante, mentre una voce insistente e suadente la
costringeva a bere il veleno per «scontare il suo peccato».
Poi scrisse ai parenti della poverina che era morta di colpo apoplettico.
Qualche tempo dopo fu trovato con la gola squarciata anche il figlio
di Ranieri, il quale aveva avuto la malaugurata idea di indagare
troppo circa il mandante dell'assassinio del padre.
Nel 1564 impalmò Anna di Aragona cugina di Filippo II e tre anni
dopo nel '67 la costrinse a chiudersi in un eremo di Rivarolo e
dichiararsi... colpevole. Morì misteriosamente.
Alcuni anni dopo, in un diverbio con il figlio Luigi, unico erede
della casata allora quindicenne, gli assestò un calcio nel punto
dove convergono le gambe e lo fece secco sul colpo.
Non c'è due senza tre, ed infatti Vespasiano ormai sulla sessantina
si sposò per la terza volta con una giovanissima e bella donna,
Margherita di Gonzaga del ramo di Guastella. Di quest'ultima gli
storici non ci fanno sapere se anche lei fu... colpevole. Il duca
però nel suo testamento dispose che se la vedovella voleva beneficiare
del suo lascito non doveva risposarsi. Più ... «vespasiano»
di così si muore ed infatti morì nel 1591 all'età di sessanta anni.
I PRINCIPI DI STIGLIANO - CARAFA
Dalle nozze di Isabella Gonzaga duchessa di Sabbioneta
con don Luigi Carafa quarto principe di Stigliano nacque un solo
figlio, Antonio duca di Mondragone che sposò Elena Aldobrandini
nipote di Clemente VIII. Dall'unione nacquero due figli Giuseppe
ed Anna e, come era avvenuto per i Gonzaga, quest'ultima fu
l'unica erede.
Dei maschi morì per primo Antonio duca di Mondragone, poi il piccolo
Giuseppe e in ultimo Luigi rispettivamente padre e nonno dei primi
due. Ecco come annota la morte di quest'ultimo il diarista Antonio
Bulifon:
« 1630 - A 12 (gennaio) passò a miglior
vita d'apoplessia D. Luigi Carafa principe di Stigliano nel Collegio
de' PP. della Compagnia di Gesù, ove si trovava pochi giorni
prima ritirato per suo diporto, e, non avendo potuto far testamento,
restò di lui erede D. Anna Carafa sua nipote. Fu seppellito nella
chiesa di S. Domenico Maggiore vestito all'uso ducale come duca
e signor libero di Sabbioneta per rispetto della moglie».
TRE DONNE SOLE
Nel palazzo di Chiaia rimasero solo tre donne: Isabella
Gonzaga, Elena Aldobrandini e la principessa Anna. E così stavano
le cose quando, dalla Spagna, giunse don Ramiro.
Dopo il matrimonio di Anna con don Ramiro, morì anche Isabella Gonzaga.
Morì si disse, di crepacuore perché il marito della nipote non era
stato nominato viceré. Così se ne andò a raggiungere i suoi nella
chiesa di San Domenico Maggiore. Se avesse... pazientato ancora
per qualche mese, avrebbe visto la nipote viceregina di Napoli.
Infatti il 13 novembre 1637 don Ramiro ed Anna con uno sfarzoso
corteo si mossero dal palazzo di Chiaia e raggiunsero il palazzo
reale.
IL MIRACOLO DI S. ANTONIO
Nel 1639 avvenne in Napoli un miracolo di S. Antonio
di Padova che destò molto clamore e coinvolse lo stesso viceré.
«Un'afflitta donna - scrive il De Domini - il
di cui innocente figliuolo era stato condannato alle forche ricorse
al patrocinio del Santo... La donna, non sperando più nella
giustizia degli uomini, si recò nella chiesa di S. Lorenzo Maggiore
dirigendosi decisa verso la Cappella della Regina dove la luce tremula
ed incerta delle lampade si rifletteva sulle tombe di Carlo di Durazzo
l'impiccato di Aversa e di Roberto e Margherita d'Artois. L'infelice
si gettò sul pavimento, con la faccia per terra, e a calde lacrime,
con infinita fede, invocò l'intervento del Signore attraverso il
Santo di Padova. Immersa nella preghiera la donna non s'era nemmeno
accorta che era trascorso parecchio tempo. Fu richiamata alla realtà
dalla voce sommessa del superiore del convento fra' Gennaro Rocco
che l'avvertiva che la chiesa stava per essere chiusa. Solo allora
si alzò e con gli occhi arrossati e gonfi volse lo sguardo supplichevole
verso l'immagine del Santo. Indi cavò dal seno un foglio di carta
gualcito e spiegazzato. Era un memoriale che non era riuscita a
far pervenire al viceré Duca di Medina. Poggiandolo sull'altare,
implorando disse: - Eccolo! Lo consegno a Te - poi con la voce rotta
dai singhiozzi supplicò: Sant'Antò, salvame 'o figlio mio!...
Tu 'o ssaie ch'è nnucente!... Indi uscì dalla chiesa
scomparendo nel buio, giù per la discesa di S. Gregorio Armeno.
Il duca di Medina quella notte non era riuscito a chiudere occhio.
Si sentiva agitato senza riuscire a spiegarsi il perché, Cercava
di distrarsi rimuginando un ennesimo donativo a S. Maestà Cattolica
di alcuni milioni di ducati. Pensava altresì di introdurre anche
a Napoli l'uso della carta bollata, come poi fece, e di gravare
ancora le gabelle della farina e della frutta ecc. Sin dal primo
giorno della sua ascesa al potere non aveva fatto altro che tartassare
nobili e plebei e far eseguire sentenze capitali.
Da qualche giorno era rientrato assieme ad Anna da una visita ai
loro contadi di Fondi e di Traetto e, trovandosi da quelle parti,
si erano recati anche a visitare l'Abbazia di Montecassino. Non
sentendosi tanto bene, non aveva neppure ripreso la normale attività
di Governo.
L'alba era vicina. Il duca cercava di dormire ma non gli riusciva
proprio. Ad un tratto una finestra del lato del Castelnuovo si aprì
come se una folata di vento l'avesse investita. Don Ramiro sollevò
la testa dal guanciale e vide un frate che lentamente si avvicinava
al letto. Camminava senza fare alcun rumore e, quando fu a lui vicino,
gli sorrise e si sedette sulla sponda del letto senza alcun peso.
Con voce dolcissima gli rivolse la parola facendogli comprendere
i motivi della sua venuta e convincendolo esaurientemente dell'innocenza
di quel giovane ingiustamente detenuto nel criminale della Vicaria
e in procinto di essere afforcato.
Don Ramiro con la fronte imperlata di sudore, non si rendeva conto
come avesse fatto quel monaco ad entrare a quell'ora a palazzo chiuso
ed eludere la vigilanza delle guardie. Poi più che convinto dell'innocenza
del giovane, si alzò dal letto e avvicinandosi allo scrittoio appose
e firmò in calce al memoriale il rescritto di grazia. Indi restituì
al frate che gli sorrideva quel foglio di carta «gualcito
e spiegazzato».
Grande fu lo stupore del viceré quando vide il frate dirigersi verso
la finestra anziché verso la porta e quando vide il medesimo scomparire
nella luce della finestra dissolvendosi nell'aria, mentre le vetrate
si rinchiudevano da sole.
Don Ramiro si precipitò verso la finestra, l'aprì di nuovo e, guardando
dappertutto, non riusci a vedere più nulla.
Ormai era l'alba. Dal cono del Vesuvio troncato e squarciato dall'eruzione
avvenuta otto anni prima usciva appena un poco di fumo, mentre il
cielo all'orizzonte sembrava di madreperla. Il duca si vestì alla
meglio e corse da Anna che dormiva tenendo presso di sé il piccolo
Nicola. La svegliò di soprassalto: - Anna! Anna! Senti che mi è
successo!... E le raccontò, vivamente emozionato per sommi capi
quanto era acceduto pochi minuti prima.
Di lì a poco arrivò anche a palazzo reale la notizia divulgatasi
in tutta la città che la madre del condannato prima dell'alba aveva
ricevuto dalle mani di un monaco la grazia per il figlio firmata
dal viceré
Nella stessa giornata il viceré fece trasportare il suo letto con
un'infinità di altri doni nella chiesa di S. Lorenzo, proprio come
aveva fatto due secoli prima Alfonso I d'Aragona che portò nella
stessa chiesa il suo carro trionfale e che era ancora lì, appeso
in alto sulla porta principale. Ancora oggi si usa dire: appiennelo
pe' vuto .
IL VICERE'... TAR...TASSATORE
Il viceré, malgrado la sua religiosità, continuò
a tartassare i sudditi di Sua Maestà Cattolica Filippo IV. In sei
anni levò ai napoletani qualcosa come 44 milioni di ducati, valore
attuale ( 1 ducato = 20 gr. d'argento) lire
105 miliardi e 600 milioni. Sia i nobili che il popolo si rivolsero
direttamente al re di Spagna accusando il viceré di aver rubato
(malgrado non ci fosse ancora il petrolio - n.d.r.) e il re fece
finta di richiamarlo in Ispagna... per poi affidargli ben più alti
incarichi...
Il 6 maggio del 1644 don Ramiro de Guzman duca di Medina de las
Torres (chi scrive Medina Sidonia sbaglia) si ritirò nel palazzo
Mari a Portici assieme alla moglie incinta. Pochi giorni dopo veleggiava
alla volta della Spagna, mentre Anna si stabiliva a Portici in attesa
degli eventi.
MORTE DI ANNA CARAFA
Sull'imbrunire del 24 ottobre 1644 dalla chiesa di
S.M. della Natività, detta S. Ciro, uscì il SS. Viatico ed entrò
nell'ampio portone del vicino palazzo de' Mari. Il parroco Don Camillo
Bosso di Resina si recava a portare gli Estremi Conforti alla principessa
di Stigliano ex viceregina di Napoli.
La campana dell'attigua chiesa aveva da poco suonato le due ore
di notte quando donn'Anna Carafa, la più corteggiata, la più desiderata,
la più ricca fra tutte le donne d'Europa, rendeva l'anima al Signore.
Nel volume II dei registri dei morti esistenti in detta chiesa a
pag. 16 (riporto da Beniamino Ascione - Portici notizie storiche
- ivi, 1968) si legge testualmente:
«A di 24 d'8bre 1644 (per un
refuso c'è scritto 1645 nel libro dell'Ascione) D. Anna Carrafa
principessa di Stigliano moglie di D. Filippo Ranier de Cusmà duca
de Medina emessa nel dì ricevé T. S.ti Sacramenti d. Camiillo
Bosso sepolta in S. M. de Scalzi agost.ni di Resina».
Altre numerose fesserie del compilatore della «famigerata»
Platea e a quelle del gazzettiere politicante Domenico Antonio Parrino
ne dobbiamo aggiungere anche un'altra ed è quella dello storico
Biagio Aldimari, storico del XVII secolo (non del XVI) il quale
scrisse (1691) che donn'Anna Carafa morì «in Pietrabianca,
villa di Napoli, feudo proprio».
Donn'Anna morì dov'era nata, nel palazzo Stigliano, poi de'
Mari, e lì non era, come non è, Pietrabianca. Era Portici.
Il palazzo ritenuto fino a qualche tempo fa il più antico di Portici,
secondo una falsa e stupida diceria popolare, era luogo di convegni
della regina Giovanna dei quali è facile arguire la natura.
L'edificio non esiste più, è stato demolito per aprire la strada
«Libertà». Anzi ne è rimasta una verticale e un corpo
laterale che fa angolo con Via Casaconte. Un arco altissimo che
immette in un vasto cortile mostra ancora la nobiltà architettonica
che doveva avere l'antichissimo palazzo...
Ma seguiamo il prof. Beniamino Ascione nelle sue meravigliose indagini
storiche. Infatti egli ci fa sapere ancora che nel Catalogo de'
secolari morti sepeliti (sic) nella Chiesa de' Padri Scalzi Agostiniani
sita nel Vasale di Resina - 1629 (data d'impianto del
registro) si legge (trascrivo testualmente):
«A dì 27 d'ottobre 1644 si è seppellita
nella nostra Chiesa di S.ta Maria della Consolazione di Resina L'Ecc.ma
Sig.ra D. Anna Carrafa Principessa di Stigliano. Essendo morta il
lunedì del detto mese a due hore è mezze di Notte, Nel Palazzo delli
Sig.ri de Mari per Portici (sta loco depositi) à mandritta del Altare
magg.re, à disposizione de Suoi eredi, ò del Ecc.mo Sig.r Duca di
Medina Suo marito, del quale deposito se nè fatto atto pubblico
per mano di Not.r Vincenzo di Gennaro di Napoli, e se ne conserva
fede nel Nostro Archivio».
Al margine esterno della pagina c'è la seguente nota:
«Si è trasferita in S. Domenico maggiore in Napoli»
ma disgraziatamente - commenta il prof. Ascione - non è indicata
la data del trasferimento.
La chiesa di S. M. della Consolazione, chiamata comunemente di S.
Agostino, è quella poco più oltre il Municipio di Resina (m'hann'
accidere se scrivo Ercolano!...). Ha l'atrio coperto a tre archi.
C'è anche una lapide che la indica, non ci si può sbagliare.
IL SEPOLCRO SCOMPARSO
Nella chiesa di S. Domenico Maggiore non esistono
tombe degli Stigliano - Carafa che, se esistessero, dovrebbero trovarsi
nella Cappella del SS. Rosario ubicata sul fianco dell'altare maggiore
dal lato dell'Evangelo.
Nel 1692, cioè a tre anni dalla morte di Nicola Carafa primogenito
di Anna, anch'egli feudatario di Torre del Greco, la cappella era
ancora di padronanza della Casa dei duchi di Medina de las Torres,
avendola essi ricevuta in eredità dai principi di Stigliano.
Estinta la famiglia dei duchi di Medina de las Torres, la Cappella
fu dal Convento cedua ad un certo marchese Cedronio. Un discendente
del Cedronio, cedette la cappella a Vincenzo Carafa principe della
Roccella, il quale nel 1779, perduta la sua diletta consorte Livia
Doria, volle in memoria di lei rinnovare la cappella dando l'incarico
all'architetto Carlo Vanvitelli figlio del grande Luigi. Ancora
oggi, in alto, sull'arco gotico c'è lo stemma della Casa Carafa
della Roccella.
Nella cappella non esiste nessuna tombe. Esistono però nell'ipogeo
alcune casse marmoree, ma sono tutte del XVIII secolo.
Il 5 giugno del 1688, tra le ore 20,30 e le 20, 45, un terremoto
di eccezionale violenza e durata (7 o 8 minuti primi) sconquassò
la città di Napoli e la chiesa di S. Domenico subì gravissimi danni.
Scrive il Chiarini nelle sue aggiunte al Celano: «Poiché
le lapidi sepolcrali, di che era pieno il pavimento del tempio medesimo,
rendevano incomodo il camminarvi, fu risoluto, con male accorto
consiglio, doversi togliere, gittarle via e sostituirvi un pavimento
più semplice».
E' la solita storia che purtroppo ancora oggi si ripete. Ed
ecco spiegato perché la tomba della principessa di Stigliano e quelle
dei suoi antenati non si trovano più nella chiesa di S. Domenico
Maggiore.
ANNA NON ERA CATTIVA
Di Anna Carafa se ne sono dette tante circa i suoi
abusi feudali, però si sono dette anche delle cose buone e tra queste
la più altamente cristiana e caritatevole è la seguente:
Anna faceva parte di una Congregazione di pie donne fondata da padre
Giovenale Ancina verso la fine de Cinquecento e ogni martedì, dimenticando
di essere la viceregina di Napoli, si recava all'Ospedale degli
Incurabili a servire i malati con le proprie mani e ad accudirli
nei loro bisogni non escludendo i servizi più umili e ripugnanti.
Le maldicenze sul conto dell'infelice principessa si riversarono
su di lei per riflesso del marito, feroce tar...tassatore oltre
che tiranno.
A proposito, il vedovo si risposò per la terza volta con Caterina
Velez de Guevara anche lei vedova e dall'unione nacque Maria Anna
Sinforosa che fu poi l'erede legittima del fratello consanguineo
Nicola e perciò padrona di Torre del Greco dal 1691 al 1698.
La mattina del 18 gennaio del 1669 (e non 1660 come scrissero i
fratelli Castaldi nella loro Storia di Torre del Greco, a pag. 63,
e riportarono altri), un colpo di cannone sparato dagli spalti del
Castelnuovo del quale don Ramiro era stato castellano, annunziò
ai Napoletani la morte del duca di Medina de las Torres, presidente
del supremo Consiglio d'Italia presso la Corte di Spagna.
COME SI ESTINSE LA FAMIGLIA
Dei tre figli, il primogenito Nicola Maria Filippo
(si chiamava anche Filippo...) nato il 22 marzo 1638 ed erede universale
dell'immenso patrimonio lasciato dalla madre, tra cui il feudo di
Torre del Greco e comarca, morì a Madrid il 7 gennaio 1689.
Domenico, celibe, rissoso, spadaccino e donnaiuolo, non morì a Genova
come scrissero i fratelli Castaldi. Morì invece a Bologna nell'aprile
del 1674 «ammazzato, con archibugiate, di notte tempo
per... cagion d'onore».
Aniello, sposò Eleonora da Moura y Cortereal marchesa di Castelrodrigo.
Fu viceré di Sicilia al tempo della rivolta di Messina e morì a
Palermo verso la metà di aprile del 1677.
Contrariamente a quanto scrissero a proposito gli stessi Castaldi
nell'opera citata, secondo cui morì «senza lasciar figlioli»,
lasciò invece «un solo figliuolo mascolo di quattro
mesi incirca» il quale, aggiungiamo noi, dovette morire
in tenera età. Se fosse vissuto, nel 1689, sarebbe stato lui l'erede
legittimo dello zio Nicola e non la sorella di questi Maria Anna
Sinforòsa duchessa di Medina Sidonia ed inoltre non si sarebbe estinta
la famiglia dei Medina de las Torres.
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