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Tratto dal n°4-5
de LA TORRE
16 Marzo 1967
 
 
Versi
 
Alla mia città
 


O patria, non vedo le mure e gli archi
e le colonne e i simulacri e l'erme
torri degli avi nostri.
Vedo invece le traci
le casseforme, il ferro, di esso carchi
i solai, il cemento non è inerme,
non vedo più il sole ma pilastri.
Ohimé, quante brutture
che tenebre, che buio, qual ti veggio
mai più formosa donna! Io chiedo al cielo
e al mondo: - Dite! dite!
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio
con la complicità dei «difensori»,
spartitesi le zone, senza velo
di pudor, senza rimpianto vedonti
nascondere la faccia
tra le ginocchia. E piangi.
Piangi che ben hai donde, Torre mia,
non t'hanno risparmiata
di terra una zolletta né una via.
Se fossero gli occhi tuoi due fonti vive
mai non potrebbe il pianto
adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
ché fosti, in tempi non lontani, bella.
Tu dormi come un ghiro
e non rimembri, il tuo passato vanto,
quell'acqua del Dragon, sì, quella polla.
Perchè, perchè, la vollero dispersa?
Mentre a Resina, intelligentemente
è l'acqua di «SanCiro».
Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
o qual tanta possanza
valse a spogliarti con le mani di tutti?
Come cadesti o quando
da tanta altezza in così basso loco?
Son figli tuoi, oppur son farabutti?
Nessun di essi, o Torre, ti difende:
affacendati a far danaro a sacchi
ostentan con superbia e con orgoglio
l'unica virtù loro: il portafogli.

Raffaele Raimondo
(su licenza pietosa di Giacomo Leopardi)