articolo «impopolare» di
RAFFAELE RAIMONDO
Tutti sappiamo che il metro è
la quarantamilionesima parte del meridiano terrestre, che è
la misura base di gran parte dei paesi del mondo e che con esso
vengono misurate le enormi distanze del cosmo, accoppiato alla velocità
della luce che si propaga alla bazzecola di 300.000 chilometri al
secondo.
Insomma misuriamo tutto, con precisione o quasi, ma non ancora abbiamo
i mezzi per misurare l'imbecillità perniciosa e dilagante
fabbricata in vitro - anzi in video e audio - e inoculata a dosi
urto dalla stampa periodica e purtroppo anche da parte dei giornali...seri.
Il senso della misura non esiste davvero più? E' un fenomeno
attuale o si è verificato altre volte?
La differenza fra il passato ed il presente è che oggi esistono
potentissimi mezzi di diffusione, penetrazione e mantenimento dello
stato di cose che ormai dovrebbero incominciare a preoccupare.
Quanto sto scrivendo è impopolare. Impopolare significa non
gradito al popolo. Scrivendo cose non gradite al popolo si rischia...
l'impopolarità. Essere impopolare, molti credono che significhi
non essere democratici ed invece è tutt'altra cosa.
Non più di una trentina di anni fa erano proprio i democratici
a cercare di far capire alle masse che «quello» non era
l'uomo mandato da Dio; che Iddio aveva già mandato il Figliuolo
circa duemila anni prima. Il minimo che potesse capitare a quei
pochissimi «impopolari» di allora era di essere tacciati
di antitaliani, zoticoni e sovversivi e, poiché abbiamo parlato
del Figliuolo di Dio, possiamo aggiungere che quando il popolo chiese
a gran voce la liberazione di Barabba e la crocifissione del Nazareno,
Ponzio Pilato, per timore di rendersi impopolare...si lavò
le mani.
Oggi i responsabili tutti «si lavano le mani», ed è
più che naturale, data la ossessionante pubblicità
radiofonica e televisiva degli infiniti prodotti detersivi. A questo
punto, rileggendo quello che io ho già scritto mi accorgo
che, seguendo argomenti troppo alti, ho smarrito...il senso della
misura nel citare avvenimenti e fatti smisuratamente sproporzionati
a quelli che ho intenzione di esporre.
Faccio il «punto» e rientro subito in argomento.
I FABBRICANTI DI IDOLI
A Recoaro - Terme (Vicenza) si è concluso il «Cantagiro» che sarebbe più opportuno chiamare «Canzonature in giro».
Uno stucchevole indirizzo di gratitudine letto dallo Alighieri Nazionale
( non è quello che disse: «Uomini siate e non pecore
matte») al «patron» che, bontà sua, pensa
e veglia sui destini canzonettistici e canzonatori della Patria
e dell'Europa.
Sono state scambiate coppe, medaglie, targhe, (d'oro, naturalmente),
oro scavato dalla miniera inesauribile dei fessi, fra una marea
di folla gridante ed osannante, con uno sventolio di fazzoletti
che faceva somigliare la scena, alla chiusura di un Anno Santo o
ad un raduno di fedeli sulla spianata di Fatima in attesa di un'altra
apparizione della Vergine o ad una di quelle oceaniche adunate di
non fausta memoria.
A fatto compiuto, in attesa del «CantaEuropa», mentre
i fans custodiscono gelosamente gli autografi dei «divi» e dei «reucci», strappati con tanta fatica ed emozione,
il patron, i bigs ed altri interessati, palesi o celati, contano
altri autografi meno romantici, però di maggiore valore:
quelli di Guido Carli sulla variopinta carta filigranata fornita
dal Poligrafico dello Stato alla Banca d'Italia.
Il senso della misura e soprattutto il senso del ridicolo sono scomparsi
dalla mente umana dopo il lavaggio del cervello operato da pochi
furbi con potenti detersivi quali il divismo, il fanatismo ed il
cosiddetto «hobby». L'arte di far danaro per certe persone
è innata.
L'inflazione degli idoli nel campo dello sport e della musica leggera
(ormai diventata «pesante») è arrivata ad un eccesso
tale da far perdere la pazienza a chicchessia, perfino a Giobbe..
Del resto capitò anche a Mosè. (Quanti personaggi
biblici! Non à forse la Bibbia maestra di vita?). Appena
si allontanò per qualche giorno, per recarsi sul Sinai a
rapporto con l'Onnipotente, al suo ritorno trovò il popolo
d'Israele che adorava un vitello d'oro. I costruttori di quel vitello
dovevano essere gli antenati dei nostri organizzatori pseudolirici
e potete stare sicuri che non lo fecero certo disinteressatamente.
Capitò anche ai Romani, quegli antichi naturalmente, quando,
raggiunta la grandezza imperiale, si dettero alla civiltà
dei consumi...: un giorno lavoravano e due giorni facevano festa,
trascorrendoli negli stadi, nei circhi, negli anfiteatri, suonando
e cantando e applaudente gli Antoine e i bigs del tempo.
Poi fecero la fine che tutti sappiamo.
ARTE E MONDANITA'
Chi avesse letto il 28 giugno sul quotidiano più antico di
Napoli: «Torre del Greco alla ribalta per l'arrivo del Cantagiro»,
(titolo di tre colonne) avrebbe certamente capito che si trattava
di una inserzione a pagamento. L'articolista parlava di eccezionale
boom organizzativo atto a creare presupposti del rilancio turistico
di Torre e precisava che esso era dovuto ad un mecenate del luogo,
pensoso dei destini turistici ed artistico-culturali di Torre del
Greco. Definiva l'avvenimento un grosso boom artistico e mondano
e, dato che la parola boom ricorreva spesso nello articolo, vorrei
aggiungere un altro boom col significato di esplosione alla napoletana:
quell'avvenimento fu infatti esplosione di non fine gusto artistico;
riguardo al mondano, poi, meglio sarebbe stato organizzarlo a quota
800 sul livello del mare e chiamarlo «montano».
Non è arte, né mondanità mettere in ridicolo
attraverso una parodia di pessimo gusto persino la preghiera del
Santo Rosario da parte dell'Alighiero nazionale, con la partecipazione
straordinaria di un coro di 12.000 elementi che rispondeva alle
scemenze con la parola «amen».
L'articolista prevedeva anche qualche svenimento intorno alle «macchine» da parte di qualche gagarella affetta da televisionite galoppante,
ma nemmeno questo c'è stato perché anche gli svenimenti
erano falsi.
I COMITATI
La maggior parte dei componenti il Comitato per la «canzonatura
in giro» faceva anche parte del Comitato per la Festa dei Quattro
Altari. Di quest'ultimo, però, disertava le riunioni: maggior
merito avrebbe ricavato mettendosi in vista nella prima manifestazione,
ma soprattutto maggior utile, perché di immenso richiamo.
Già, perché tutto si fa ormai solo in vista della
mèta definitiva da raggiungere e cioè la carica politica,
da cui trarre benessere e potere. Senza contare quelli che avendola
raggiunta, la vogliono tramandare addirittura ai figli. Se potessero
anch'essi organizzare un «festival», chissà che
qualche cantautore figlio di papà non si affretterebbe a
farsi alla ribalta per cantare così:
Al Senato va papà
Alla Camera vo io
In Provincia va mamma
al Comune va lo zio.
E per fortuna mia
in Regione andrà la zia
Tutto questo ben di Dio
è l'attuale democrazia.
LA TELEVISIONE
La cosa veramente preoccupante è con quanta facilità
la gente va in brodo di giunggiole nell'assistere ai più
insulsi (e cretini) spettacoli televisivi. Con quanta puntualità
ed ansietà ha ancora il coraggio di sedersi davanti al teleschermo
che sarebbe più opportuno chiamare «telescherno».
E' da quel quadro luminoso che i furbi prendono in (canta)giro e
beffano i teleutenti sotto l'etichetta di quiz più astrusi
che culturali, dove è sempre di base l'ossessionante canzone
e dove gli applausi (comandati) sono fatti di urla isteriche e dimenamenti
scomposti non atti certo a diffondere un comportamento civile. Tutti
i protestatari barbuti, pseudo-artisti e pseudo culturali sono figli
della televisione.
La televisione, questa «rancascia» con urla, scompostezze e così via
spinge la gioventù alla follia
poi vuol moralizzar con Ugo Sciascia
E' MAFIA O PEGGIO?
Tutti questi festivals, tutti questi programmi studiati e messi
su con i più vari ingredienti, con classifiche e votazioni,
puzzano troppo di bruciato. Durante l'ultima campagna elettorale
abbiamo visto candidati che si appellavano ai giovani, fare affidamento
su di essi, promettendo loro proteste, canzoni e pallone. Così
hanno pensato alcuni pezzi grossi locali, non di statura, che ad
un evento storico della loro città hanno preferito il palcoscenico
per distribuire coppe e ricordini a protagonisti ed organizzatori
disertando la cerimonia dello scoprimento degli altari. La cosa
più grave, che li qualifica non democratici, è la
loro assenza totale dalla processione Eucaristica.
Gli assenti ex e non ex capoccia vogliono l'urlo della folla, vogliono
le fascie tricolori, vogliono la prima fila, vogliono insomma l'autorità
e il potere, vogliono gli inchini e i salamelecchi. Non hanno imparato
e non impareranno mai ad essere anche dei semplici cittadini e soprattutto
essere torresi.
QUALCUNO SI MUOVE
Ma ritornando alle canzoni in giro apprendiamo, vivaddio, che qualche
cosa o qualcuno si muove.
La carovana dei cantagirini (ed il titolo è appropriato perché
i «girini» sono le rane non ancora giunte alla completa
metamorfosi e quando cantano gracidano) è stata accolta alle
porte di Perugia da un massiccio bombardamento di pomodori (come
natura crea). Dicono che tra i pomodori sia volata anche qualche
pietra. Evidentemente si trattava di un gruppo di conservatori (non
di pomodori) ma di quel senso della misura che necessariamente deve
essere ripristinato.
Apriti cielo! Il patron è andato sulle furie, ha minacciato
denunce contro ignoti e su questo gli diamo ragione perché
il bombardamento doveva essere effettuato durante lo spettacolo
e non sulla strada e di notte. Comunque i bombardieri meritano le
attenuanti generiche. Il patron li ha definiti squadristi. E già!
Con il clima di eterna resistenza ciò fa comodo. Egli ha
aggiunto «chi non ama i cantanti e le canzonette se ne stia
a casa tranquillo e usi i pomodori per fare il sugo». E' una
parola! Come si fa a stare a casa propria a vedere entrare tutte
le sere il patron con il suo seguito a tediarci l'anima?
Lungo tutto il percorso si sono visti cartelli invitanti il patron
a smetterla e fra i tanti uno recava la scritta: «Radelli tu hai ucciso la cultura». Non è vero.
Chi ha interesse per la cultura non sa nemmeno che al mondo esistono
Randelli e il suo Cantagiro. Questo signore «che ci sa fare» non è un fesso e non ha ucciso niente. La cultura l'hanno
uccisa Cino Del Duca, Rizzoli, i premi letterari e prima di tutti
la Televisione e la stampa in genere. Perfino la «Domenica
del Corriere» con un articolo a firma di Luigi Cavicchioli,
in forma larvata, (il trucco c'è ma non si vede), spezza
una lancia a favore del «patron» e della sua manifestazione
definendola «innocua» e, come tutti gli articolo osannanti
tale genere di manifestazioni, è anche questa un'inserzione
a pagamento.
LA «REGINA» SPODESTATA
Mentre concludo queste note è in corso la trasmissione radiofonica
e televisiva di un ennesimo festival: quello della canzone napoletana.
E' stato organizzato da ben due Enti dei quali uno si intitola al
nome glorioso di Salvatore Di Giacomo. Fra lettere minatorie e schiaffi
ancora una volta si è dato lo spettacolo nello spettacolo.
Incidenti forse provocati ad arte da elementi interessati e probabilmente
non partenopei, per mettere in cattiva luce Napoli e i napoletani.
Quando Ernesto Murolo ed Ernesto Tagliaferri si recarono insieme
a San Remo in quel remoto 1932 non pensavano neppure lontanamente
che un giorno Napoli, la regina delle canzoni e del folklore, calamita
dei turisti di tutto il mondo, la sirena del bel canto, sarebbe
stata degradata proprio da quelli che la volevano scimmiottarla.
Piedigrotta che fino a qualche anno fa era la più grande
manifestazione canora e folkloristica del mondo è stata boicottata.
Si è voluto dare importanza a questi festivals che sotto
l'etichetta di concorso-premio, graduatorie ecc. ecc. non hanno
alcuna attrattiva e non interessano i turisti di levatura internazionale.
I vari enti preposti pare abbiano avuto l'ordine di russare e, se
fanno qualche tentativo di organizzazione, lo fanno tanto male da
trasformare questa esplosiva e dinamica manifestazione popolare
in qualche cosa come la commemorazione dei defunti e «a festa
e l'archetiello». Hanno fatto di Napoli, che fino a pochi anni
orsono conservava ancora l'aspetto di una capitale, un grosso comatoso
paese.
Oggi tutto quello che è schiettamente popolare non è
gradito nemmeno dal popolo perché gli hanno dato a bere che
certe cose non si usano più. Niente di più falso!
Mantenere e rispettare le tradizioni non è contrario al progresso.
Queste tradizioni potrebbero per un attimo far sorridere; esse sono
invece la pietra di paragone, anzi sono le pietre miliari del tempo,
della storia, della vita stessa. Mantenerle è rivivere con
i nostri antenati, è soprattutto rispetto per essi. Abolendole
è come voler distruggere i musei, le città antiche,
gli archivi, le pinacoteche ecc. ecc..
Ed anche in questo si troverà sempre l'imbecille che preso
dal cosiddetto «modernismo» dirà: «Ma, sì,
che ci stanno a fare?
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