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Tratto dal n°20/21
de LA TORRE
20 Dicembre 1969



























Il vero Natale Napoletano

da un disegno di
G. Amato

da "L'Illustrazione Popolare"
del dicembre 1899



 
 
 
Da Natale a Capodanno
di RAFFAELE RAIMONDO

Innanzi tutto, Buon Natale e felice Anno Nuovo!
Speriamo che nei prossimi giorni vadano in porto tutti i «problemi» esistenti sul tappeto sindacale e che gli interessati tutti alla risoluzione di quei «problemi» trovino finalmente quella serenità e quella pace indispensabili per trascorrere in letizia la più grande festa dell'umanità.

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La Festa del Natale di Gesù Cristo fu istituita nell'anno 138 dal vescovo Telesforo; come la Pasqua era una festa mobile che cadeva nel settimo giorno avanti le calende di gennaio e fino al 336, secondo antichi documenti, risulta che tale festa era celebrata per sopraffare l'usanza pagana, che solennizzava la nascita di Apollo, cioè del sole, con grandiose feste gli ultimi giorni di dicembre ed i primi di gennaio.
Durante la seconda metà del 300, Cirillo vescovo di Gerusalemme, morto nell'anno 386, con il placet del Pontefice S. Giulio I consultò i dottori della Chiesa, i quali concordemente stabilirono che Gesù era venuto su questa Terra il 25 dicembre e da allora divenne festa fissa.
C'è chi sostiene che Gesù nacque in primavera, perché da antiche scritture si rileva che Egli nacque mentre rifioriva la Natura; tesi errata, perché la Natura rifiorì per lo straordinario Evento e non per fatto stagionale.

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Ogni anno, puntualmente, associazioni, enti, circoli ecc. bandiscono concorsi allo scopo di stimolare e quindi mantenere in vita la vacillante ed agonizzante tradizione del presepe. Se ancora oggi vediamo pochi fedeli del presepe ciò è dovuto all'attaccamento a tale usanza dei napoletani in particolare e dagli abitanti del meridione in generale, pur se a Milano esiste una benemerita associazione intitolata appunto «Amici del presepe».
Gli sforzi per mantenere e rinverdire la rievocazione della Natività del Divino Figliuolo col costruire il plastico paesaggio di Betlemme con la grotta, i pastori, i re magi e tutto il resto, sembrano cadere nel vuoto.
Il presepe esisteva ancora prima che San Francesco di Assisi lo costruisse e non era per niente simile a quelli che vediamo oggi, ai quali sono state apportate aggiunte di altri elementi molte volte anacronistici.
Un presepe esisteva in Santa Maria Maggiore rimontante all'epoca di Papa Teodoro I (un papa greco che regnò dal 642 al 649). Per questo che la Basilica Liberiana è intitolata a S. Maria del Presepe.
Ne esisteva un altro nella Basilica Vaticana sotto il Pontificato di Giovanni VII e fu distrutto durante la costruzione dell'attuale Basilica di S. Pietro.
La prima raffigurazione del presepe apparve addirittura in visione prima che Gesù nascesse. La vide Augusto imperatore sul Campidoglio, quando la Sibilla predisse che un giorno sarebbe venuto sulla Terra un Re destinato a regnare in eterno. Fu allora che si aprirono i Cieli e l'imperatore vide un giovane di infinita bellezza assisa su di un altare con un bambino in grembo e contemporaneamente udì una voce: «Ecce ara Primo geniti Dei» (Ecco l'altare del Figlio di Dio). Nel luogo della visione, cioè nel punto più alto del Campidoglio, fu eretta la chiesa di S. Maria dell'Ara Coeli, dove si trova il Santo Bambino detto appunto «dell'Ara Coeli». Si vuole che l'Effigie del Divino Pargolo fosse stato scolpito dagli angeli nel legno di un olivo dell'orto di Getsemani e che verso la fine del 1400, mentre un frate francescano lo portava a Roma, fosse caduto in mare durante una tempesta e che fosse approdato da solo alle foci del Tevere, dove una folla di fedeli era ad attenderlo.
Al Bambino viene attribuito dai Romani il potere miracoloso di guarire gli ammalati e perfino di resuscitare i morti.
Una volta, una donna gravemente inferma ottenne dai frati della chiesa di avere per una notte al proprio capezzale il Bambino e, volendo ella venire in possesso dell'immagine per tenerla solo per sé, fece costruire da un provetto artigiano una copia del tutto simile all'originale ed il mattino seguente restituì ai frati la copia. La notte seguente, allo scoccare della mezzanotte, si sentirono fortissimi colpi alla porta del convento. I frati si precipitarono ad aprire, credendo che fosse qualcuno bisognoso di aiuto o di ospitalità, ma si stupirono nel vedere un bambino in lagrime. Lo fecero entrare e poco dopo si accorsero che era il loro Bambino di legno che era tornato da sé alla sua dimora.
Per le visite del Santo Bambino ai malati ed ai moribondi un principe Torlonia fece costruire una carrozza con valletto e cocchiere. Nei moti del 1848 la carrozza fu distrutta ed allora i repubblicani assegnarono al Bambino una delle più belle carrozze del Papa.
Con il ritorno a Roma di Pio IX e con il ristabilimento del Governo Pontificio la vettura fu di nuovo adibita al servizio del Papa, fra l'indignazione del popolo ed i rimproveri mossi alle Autorità ecclesiastiche che avevano osato servirsene.

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San Francesco ideò il Suo presepe nel 1223.
«Un nobile cavaliere di Greccio, Giovanni Velita, convertito a vita migliore e attratto dal Santo, spesso si inerpicava faticosamente fino alla cima del monte dove era il romitario di Francesco. Essendo gravi di anni e di pinguedine e non avendo la forza di fare il faticoso cammino, pregò il fraticello di Assisi di voler lasciare il romitario e di avvicinarsi all'abitato di Greccio per dargli modo di andarlo a visitare più agevolmente e più spesso.» (Arturo Lancellotti - Feste Tradizionali, Milano 1961). San Francesco per non dargli l'amarezza del rifiuto gli promise sorridendo che non si sarebbe allontanato da Greccio più di quanto ne poteva andar distante un tizzo acceso lanciato da un bambino; dove quel tizzo fosse andato a cadere, lì avrebbe abitato con i frati suoi. Messere Giovanni Velita, spinto dal grande affetto per Francesco e desiderando che la distanza fosse la più corta possibile, fece chiamare un bimbo di pochi anni; ma il tizzo lanciato dalla piccola mano salì luminoso nel cielo notturno, attaversò tutta la valle e cadde in un luogo pietroso sul declivio della montagna opposta lasciando sulla roccia il segno della bruciatura che né la pioggia né la neve né il sole in settecento cinquanta anni hanno cancellato.
Proprio in quel punto sorse il più piccolo, il più umile il più povero convento creato da S. Francesco.
Il Santo, appena tornato da Roma dopo che il papa gli aveva approvato la Regola dell'Ordine, mandò a chiamare il suo devoto amico Giovanni Velita e gli ordinò di approntare in una piccola grotta scavata là dove era caduto il tizzo, una mangiatoia (presepio) e di mettergli dentro un poco di fieno e di condurre nei pressi un bove ed un somarello. Giovanni Velita da Greccio affermò poi di aver veduto nella fatidica notte del Natale di quell'anno - scrive S. Bonaventura - il Fanciullo dormire nelle braccia di S. Francesco che amorevolmente lo vegliava. Così nacque il presepe di S. Francesco che consisteva nella sola mangiatoia con il fieno, il bue, l'asino e niente altro.
Con il passare dei secoli, il presepe si diffuse in tutto il mondo assumendo aspetti diversi secondo la latitudini e le costumanze dei popoli, alterando il significato datogli da S. Francesco.
Il presepe raggiunse il massimo della divulgazione e dello splendore a Natale sotto il regno dei Borboni ad opera di valenti artisti come i fratelli Vaccari, i fratelli Bottiglieri ed altri, primo fra tutti Giuseppe Sammartino che realizzò gli artistici, meravigliosi pastori del presepe di Michele Cuciniello, che fu donato al Municipio di Napoli ed oggi si trova nella Certosa di S. Martino.

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Se qualcuno è portato a credere che l'albero di Natale abbia avuto la sua diffusione in Italia da breve tempo si sbaglia di grosso. E' trascorso un secolo quasi.
Tutte le cose che hanno sapore esotico o straniero hanno sempre avuto facile attecchimento ad opera degli innovatori, i quali sono sempre esistiti.
Essi vedono ed hanno sempre veduto il buono nelle cose degli altri. L'albero di Natale scese in Italia dalla Germania circa un secolo fa e fu immediatamente adottato anche da alcune associazioni cattoliche di Milano, intorno al 1880.
Ecco, secondo la leggenda come nacque l'albero di Natale.
Martin Lutero, in una notte stellata di Natale, uscì nella foresta e alzando gli occhi, al cielo, vide attraverso i rami degli alberi le stelle scintillare nel cielo. Ebbe la sensazione, socchiudendo gli occhi, per sovrapposizione prospettica, che le stelle brillassero proprio negli alberi. Tornò a casa e partecipò ai figliuoli il suo entusiasmo per l'impressione ricevuta. Prese un piccolo abete e ne ornò i rami con tanti lumicini, ricostruendo così la scena o l'impressione che aveva ricevuto nella Foresta Nera.
Un'altra leggenda, irlandese questa, vuole invece che nel 1786 e quindi molto più vicino a noi nel tempo, per un errore di giustizia furono decapitati due innocenti. Dal loro sangue germogliò un albero in cui i rami, nella notte d'ogni solstizio invernale, si accendevano mille fiammelle.
Un'altra storia è quella di un ufficiale svedese, ferito nella battaglia di Lutzen nel 1632, il quale spiegava agli abitanti di un villaggio della Sassonia, dove era stato accolto, come al suo paese il Natale si festeggiava con un albero risplendente di lumi.
L'uso dell'abete, dapprima limitato, si diffuse lentamente man mano, con l'accresciuta rapidità delle comunicazioni e con il bisogno del nuovo che agita sempre la vita, si sparse in tutto il mondo.
Con le innovazioni in corso non è lontano il giorno che vedremo fusi in un'unica composizione la grotta di Betlemme e l'albero di Natale.
Per ora l'albero ha sostituito il presepe e se prima erano i "ragazzi"da otto a novanta anni a costruire quest'ultimo, oggi sono le ragazze dagli otto al...'ntanni che allestiscono l'albero per appendere ad esso gli oggetti più disperati, dai profumi costosissimi alla scatolina con il brillante, dagli indumenti intimi alle tettarelle, dai pitalini agli oggetti, diciamo di natura igienica da sorteggiare durante i balli ed i cotillon, prima di disfarlo.
Eppure quest'albero allestito con tanta cura e tanto sfarzo avrebbe dovuto ricordare la nascita del Redentore. Vedete un po' dove è andata a finire oggi la più dolce, la più grande festa della cristianità!.
I ragazzi, invece, che fino a pochi anni addietro erano i registi che coi loro pastori contribuivano maggiormente a creare l'atmosfera natalizia, giocano con i "ritrattielli", immagini..."sacre" di novelli "padreterni" elevato agli onori degli..."altari" dai vari maghi come Herrera, Pesaola, ecc. ecc.
Per le strade, si vedono accese le luminarie, come avviene a Londra, a Stoccolma, ad Oslo, a Helsinki ed in tutte le città nordiche che al tempo del Natale sono immerse nella notte polare e dove le luminarie sono più che giustificate.
Mentre dal nord giungono fino a noi le usanze di quei paesi, dalle isole dei mari del sud o dalle zone equatoriali giungono, contemporaneamente, i..."pappagalli" e le "scimmie" che, come tutti sanno, cercano di imitare tutto ciò che vedono fare dagli altri, senza rendersi conto che mentre in alcuni posti certe cose sono necessarie in altri possono apparire perfino ridicole, proprio come avvenne qualche anno fa a Torre dove gli addobbi natalizi erano costituiti da figurine di Walt Disney e alcune di esse rasentavano la pornografia. Ma le deviazioni, ripetiamo, avvengono e tutti lo sanno affinché tutti i salmi finiscano in gloria.

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La rappresentazione sacra, seicentesca di Casimiro Ruggero Ugone, pseudonimo del siciliano Andrea Perrucci, anch'essa caduta in disuso, allietava per un mese circa tutta l'Italia Meridionale. Parliamo della Cantata dei Pastori.
Al Real Teatro S. Ferdinando, Federico Stella cedeva il posto alla compagnia di «Totonno 'e Cangiano»e per parecchi giorni si rappresentava la Cantata dei Pastori.
Nella notte della vigilia si davano due spettacoli: il primo incominciava a mezzanotte ed il secondo alle quattro del mattino; il pubblico affluiva numerosissimo ed era formato dagli abitanti dei più popolari quartieri di Napoli. Parecchi, se non quasi tutti, andavano a teatro portando con loro le "sciosciole" (frutta secca) ed il vino o addirittura gli avanzi del cenone e, nell'assistere alla rappresentazione...sacra, continuavano a mangiare ed a bere, tra fragori sussume eruttazioni et...similia. Di frequente intervenivano anche nei dialoghi che si svolgevano sulla scena, interrompendoli o commentandoli ad alta voce con lazzi e battute diciamo umoristiche.
Quando, per citare un esempio, l'attrice che interpretava il personaggio della Vergine chiedeva al personaggio Giuseppe: « - Sposo diletto, lasso sei!...» immancabilmente un coro si levava dalla sala e dai palchi: « - Lass'ò sei e pigli' 'o sette!...» Poi col passare degli anni il sette fu sostituito da altro numero preso, non a caso, dalla smorfia napoletana. Non di rado scoppiavano risse tra spettatori avvinazzati e allora veniva calato il sipario e la rappresentazione riprendeva appena le acque erano tornate relativamente calme.
Antonio dei Cangiani era un operaio che per essere uscito incolume da un infortunio sul lavoro, aveva fatto il voto di interpretare la parte di Belfegor nella Cantata dei Pastori in segno di umiliazione per la grazia ricevuta. La "caduta" che faceva Totonno 'e Cangiani, era veramente spettacolare. Dopo il tremendo tonfo a testa in giù, riusciva a mantenersi in equilibrio con le gambe all'aria, come le corna fossero state vere e realmente si fossero inchiodate nelle tavole dal palcoscenico. Gli attori e le attrici erano tutti del quartiere ed il pubblico che li conosceva bene durante la rappresentazione li chiamava per nome rivolgendo loro encomi o disapprovazioni.
Pasquale Ruocco (Pasquino), meraviglioso poeta napoletano, in una sua poesia «La Cantata dei Pastori» illustra magistralmente uno di questi episodi e cioè quando il "serpente" induceva Eva in tentazione:

Perfidamente, il rettile la tenta
strisciando tra le rupi di cartone
mentre, già scosso, il pubblico fermenta
Eva allunga la mano: il pomo è là...
Ma una voce dal Cielo (o dal loggione?)
rimbomba: - "Assuntulè, nun t' 'o mangià!


Se volessimo sfiorare le usanze e le tradizioni natalizie non diciamo nel mondo ma semplicemente in alcune regioni d'Italia, non basterebbero un intero volume, perciò passiamo a Capodanno.

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Fu probabilmente nell'anno 153 a. C. che i Romani fissarono la data d'inizio dell'anno al 1° gennaio. Essi dedicarono questo mese a Giano bifronte, la deità pagana a due volti, che guardava avanti ed indietro cioè l'avvenire ed il passato, perché il presente non esiste e non è mai esistito: è talmente minima la frazione di tempo che dovrebbe essere il presente, che al solo pensarlo, sia pure a velocità elettronica, il presente è gia...passato.
Il punto di contatto fra un anno e l'altro avviene approssimativamente all'ora zero del 1° gennaio con un arrotondamento di sei, dodici e diciotto ore, raggiungendo la approssimazione più vicina alla realtà mai esatta, ogni quattro anni all'ora zero del 1° gennaio dell'anno che segue quello bisestile.
Mi accorgo che come al solito sto divagando, ma volevo far notare a quelli che sparano che quest'anno rispetto a quello passato, per esempio, spareranno con sei ore e passa di anticipo e solo nel 1973 torneranno a sparare quasi all'ora giusta. Quando abbiamo detto sopra vale anche per quelli che sturano le bottiglie di spumante.
Nell'impossibilità di passare in rassegna tutte le usanze o la maggior parte di esse, sia in Italia che nel mondo, ne citiamo alcune, le più curiose.
In Cina, se un creditore lascia passare la mezzanotte dell'ultimo dell'anno senza riscuotere il proprio denaro, un'usanza vuole che debba attendere l'ultima mezzanotte dell'anno nuovo, cioè deve attendere un'altro anno, perché in quel paese (almeno fino a qualche tempo fa), per qualsiasi debito, la legge rispettando la consuetudine, accorda sempre una proroga di dodici mesi. A pensare bene, l'usanza (che gode anche la tutela della legge, ove ancora esista) potrebbe essere un ottimo elemento di propaganda per qualche partito politico perché in questo caso, troverebbe molti...filocinesi.
A Parigi, invece, aumentano in modo vertiginoso gli accattoni, i questuanti e quelli che chiedono l'elemosina. In Francia è rigorosamente vietato chiedere l'elemosina o esercitare l'accattonaggio; però due volte all'anno, il 1, gennaio ed il 14 luglio, festa nazionale francese, sono consentite tali manifestazioni sotto tutte le forme, anche perché una tradizione vuole che il miglior modo di incominciare l'anno nuovo sia quello di fare l'elemosina. Naturalmente va a finire che sono più quelli che pretendono di riceverla che quelli disposti a farla.
Le «midinettes» parigine, e specialmente le attrici, trovano di buon auspicio farsi baciare da un soldato e davanti alle garitte delle caserme si formano lunghe file dando molto da fare alle sentinelle...all'erta, naturalmente.
A Londra i giovani d'ambo i sessi, ed altri, si raccolgono davanti alla Cattedrale di San Paolo ove cantano canzoni popolari dandosi pizzicotti e baci vuotando bottiglie su bottiglie di wisky, mentre i «policemen» devono lavorare non poco per mantenere le cose nei limiti della pubblica decenza.
In I scozia, dopo la funzione religiosa, incomincia la baldoria. I buoni scozzesi si riversano per le strade ed entrano in tutte le case degli amici. Fino a che non sopraggiunge l'alba, tutti chiedono il cosiddetto "tributo" cioè un bicchiere di wisky dagli uomini ed un bacio dalle donne.Si capisce che questo scambio di cortesie e di affettuosità è limitato ai soli conoscenti e i baci, certamente, non sono quelli che si scambiavano John Gilbert e Greta Garbo.
Ognuno entra nella casa in cui è conosciuto; il capo di casa è lì a riceverlo e, se le donne si sono già coricate, il costume e la tradizione che hanno tolto ogni apparenza di indecenza permettono che si entri nelle stanze da letto e si bacino le donne giovani e vecchie.
Da noi, per la stragrande maggioranza, l'anno inizia nel dolce tepore dell'intimità famigliare, tranne per pochi snob, per i quali sono necessari gli sfrenati veglioni con le "change des dames", ostentazione del lusso e dell'allegria fasulla.
L'allegria non si fabbrica con la forza del danaro; e la pace e la serenità, anche se non costano nulla, danno più felicità che non l'allegria.
E' bene precisare, però, che nessuno vuol levare un inno alla musoneria e nemmeno ha in mente di voler trasferire il nostro cristiano capodanno in quello mussulmano.
Il capodanno mussulmano è molto diverso dal nostro. Mentre noi crepiamo di schietta gioia e di indigestione, i seguaci di Maometto digiunano fino a morire di inedia o quasi. Il capodanno per loro è giorno di tristezza e di gramaglia. Ovunque si notino visi cerei, barbe lunghe di quindici giorni, abiti neri e lugubri processioni di gente che prega.
Il Capodanno mussulmano corrisponde al giorno 14 agosto del nostro calendario.
Chi ricorda comprende perché le nostre mamme nel rimproverarci, quando avremmo voluto mangiare carne in quel giorno, dicevano: - Oggi è vigilia per tutto il mondo! Perfino i turchi stanno digiuni e con la faccia per terra».
Un noto presentatore della RAI-TV diceva sempre: "Allegria! Allegria!" e a quando pare il suo invito non è caduto nel vuoto. Per esempio i canzonettari di «Canzonissima» affermano nella sigla della loro stucchevolissima trasmissione: «Quelli belli come noi, suonano, fischiettano sempre e non pensano mai, sono belli come loro».
Qualunque psichiatra direbbe invece che sono degli imbecilli.