Quando la nostra città era «arretrata» come usano dire
oggi specialmente i moderni cul... tu-rati della politica, della
letteratura, dell'arte (arrassosia), della sociologia e chi più
ne ha più ne metta (tanto è diventato un coro generale), era talmente
industrializzata da destare nello stesso tempo invidia e ammirazione
per la sua fortuna.
Quando non si parlava tanto di turismo, la nostra città era meta
agognata di villeggiatura in tutto l'anno per la sua aria balsamica
e pura, tanto è vero che non c'era pubblicazione igienico-sanitaria
che non la indicasse stazione climatica di primo ordine.
Quando non era tanto di moto la nautica e le motonautica da diporto,
tutta la fascia costiera della nostra città pullulava di cantieri
navali e la fama rinomatissima delle maestranze torresi era conosciuta
in tutto il mondo. Quella fama è tuttora viva: la piccola
e robusta nave del comandante Aimone Cat. II «S. Giuseppe
Due» che ha raggiunto due volte l'Antartide, sfidando
le tempeste oceaniche e i ghiacci polari, è stata costruita a Torre
del Greco.
Quando
per le vie di Torre circolavano le mucche e le capre e sui marciapiedi,
dove oggi i «civilissimi » autieri mettono in sosta
le «macchine», razzolavano le galline; quando i rigagnoli,
che allora erano inodori, scorrevano lungo le strade semideserte,
perché ognuno era intento a produrre qualcosa, la nostra città era
la prima del mondo per l'industria del corallo. Un industria senza
ciminiere; un industria fatta soltanto di ardimento sul mare e di
versatilità artistico - artigianale, innate attitudini dei torresi.
Un'attività invisibile (il lavoro si svolgeva nelle case) da far
sembrare Torre una città sonnacchiosa e inoperosa. E, cosa strana,
così la vedeva anche il poeta torrese Osvaldo Maglione che, verso
la fine del secolo scorso, proprio nella sua massima attività
raggiunta dall'industria locale, così cantava:
Fuma il Vesevo bello e minaccioso, / L'onda carezza dolcemente il
lido, / E il popol tuo vivacchia inoperoso...
I versi del Maglione richiamano
alla memoria, le nostre antiche passeggiate alla punta estrema del
molo dove si poteva ammirare uno dei più pittoreschi e suggestivi
panorami del mondo. La città si distendeva sulla riviera, tra il
verde dei giardini e con il fumante vulcano sullo sfondo.
***
I sommi clinici Antonio Cardarelli
e Pietro Castellino non si stancavano mai di prescrivere, ai pazienti
affidati alle loro cure, l'aria di Torre del Greco. Infatti nelle
guide e negli opuscoli distribuiti ai visitatori dell'Esposizione
di Igiene tenuta a Napoli dall'aprile a settembre del 1900 e in
tutte le pubblicazioni del genere, si leggeva:
«Torre del Greco è il
luogo di villeggiatura più ameno e frequentato della provincia,
e gli infermi affluiscono ivi da ogni parte a riacquistare, nella
mitezza del suo salubre clima, la perduta sanità del corpo».
Ed ancora:
«Ha sontuosi alberghi,
ville amene e deliziose lungo il miglio d'oro e alla contrada Sedivola
- Cappuccini, ove l'aria balsamica e pura, la temperatura mitissima,
sotto la volta perennemente azzurrina del cielo, rendono la vita
sicura da ogni malanno tra il verde, i fiori e la costante primavera».
La nostra città era rinomata
anche per una «fonte di freschissime ed abbondanti acque»
che, oltre a provvedere largamente ai bisogni industriali e domestici
degli abitanti era oggetto di particolare attenzione da parte di
parecchi studiosi di idrologia, tra i quali il colonnello prof.
Giuseppe Novi, lo scopritore della termo-ginnasio in contrada Sola;
attenzione richiamata dalla composizione chimica dell'acqua che
la rendeva fortemente diuretica. Quella fonte era denominata la
«Fontana delle cento cannelle». Oggi, disseccata è stata
trasformata in un letamaio abbandonato, anzi correggiamo, come letamaio
in piena attività di funzionamento.
La nostra città aveva derrate agricole eccellenti. Le campagne tutte
coltivate a frutteti e a vigneti davano frutta squisite e rinomati
vini, mentre i terreni prossimi al litorale, coltivati ad orti,
producevano verdure ed ortaglie tenere e saporite.
Per la natura vulcanica del Golfo di Napoli, il mare offriva una
pesca abbondantissima, prelibata e soprattutto fragrante. Nelle
case, nei ristoranti come nelle più umili béttole, taverne e «cantine»,
il profumo d' 'a frittura 'e pesce, era la delizia delle
narici prima di quella del palato.
Allora non c'erano gli aerei che trasportavano il pesce dalla Tunisia,
che i gonzi, oggi, pagano a caro prezzo, convinti che si tratti
di pesce del nostro golfo... specialmente quando viene loro servito
nei cosiddetti locali di lusso.
Spigole, cefali, cernie, orate, sàrachi e triglie, i torresi le
pescavano sott' a ddu Gavino. Le alici non puzzavano
di petrolio, 'o purpetiello e 'a seccetella 'e scogliere
sguazzavano tra le scoglieri verdi, cioè ricoperte di alghe e di
flora marina, dove vivevano spuonele, scuncilli, patelle e cozzeche.
A questo punto, per esprimere tutto il nostro rimpianto per
le perdute delizie del nostro palato è meglio dare di nuovo la parola
al poeta Maglione:
- O mio paese, o rimembranze
care, / O pranzetti stupendi del CASINO, / O dolci serenate in riva
al mare!
Se andate oggi in riva al mare,
lo troverete francesizzato (noi torresi diciamo 'nfranzesato
) perché è diventato la mer d...i genere femminile com'è appunto
nella lingua francese.
***
Quando nel nostro porto non si
cullavano in panfili «liberiani» e «panamensi»
della novella «society» torrese, lo specchio d'acqua
era pieno di bastimenti e di natanti d'ogni genere. Non erano imbarcazioni
da diporto, battevano bandiera italiana, erano usciti dalle mani
dei carpentieri torresi ed erano immatricolati tutti al Compartimento
marittimo di Torre del Greco.
Nei vari cantieri disseminati dalle rocce del largo Gavino alla
spiaggia della «Scala» e perfino sui marciapiedi delle
strade, nei cortili o in qualsiasi spazio utile si costruivano imbarcazioni
di piccola e di media stazza. Dalla «Scarpetta», cioè
dai cantieri di Largo Portosalvo, uno dei più importanti del Mezzogiorno,
invece, scandevano in mare, a ricevere il primo bacio di quelle
acque, grossi, meravigliosi velieri che i torresi, chissa perché,
chiamavano «barcabbestie».
I vari avvenivano quasi sempre di domenica o nei giorni festivi
per dar modo alle maestranze degli altri cantieri di dare la loro
collaborazione alla buona riuscita della complessa operazione che
richiedeva, oltre alla perizia, un gran numero di persone, data
la mole non indifferente dei bastimenti.
La foto che qui pubblichiamo rappresenta il vero del motoveliere
«Edoardo Scarfoglio» di 650 tonnellate, dell'armatore
Antonio Altiero; varo che ebbe luogo, 'a copp' 'a Scarpetta,
il 15 febbraio 1920.
In quel lontano mattino di domenica, il largo Portosalvo brulicava
di gente accorsa da ogni parte della città. Assiepate sulle terrazze,
sui balconi, su ogni altura e lungo tutta la diga foranea, migliaia
di persone erano in attesa del varo. Un intenso andirivieni di carpentieri
si notava sotto la chiglia e lungo la carena della nave. Colpi di
maglio facevano cadere, uno per uno, tutti i puntelli che tenevano
fissati a terra lo scivolo e lo scafo, e quando tutto fu pronto,
un prete, uscito dalla vicina chiesetta di Portosalvo, impartì la
benedizione al bastimento. Indi il silenzio avvolse tutti e tutto.
Dopo un ultimo scambio di gesti tra le maestranze dei cantieri,
un grido, che era un'invocazione più che un ordine, ruppe il silenzio
: - A nnomm' 'i Ddio! ... Taaaglia!
E mentre alcuni carpentieri, con vigorosi colpi di scure, tagliavano
le ultime funi, una bottiglia di spumante s'infrangeva sotto la
poppa. Arrampicati sulle sartie, altri operai scuotevano il cordame
per dare, con le vibrazioni, l'avvio iniziale allo scivolo, mntre
le campane spandevano per l'aria i loro festosi squilli.
Ad un tratto la nave si mosse appena e poi, sempre più veloce, compì
la sua felice corsa verso il mare, che cinse, come in un amplesso,
con due gigantesche braccia di candida schiuma, accompagnata dall'augurio
prorompente da migliaia di petti: - 'Nsavaramiento!... Nsavaramiento!...
Il frastuomo delle sirene dei rimorchiatori e lo scampanio delle
campanelle di bordo di tutti i bastimenti alla fonda nel porto,
accoglieva festosamente la nuova unità.
Quasi
tutto l'occorrente per l'armamento delle navi era fabbricato a Torre
del Greco. Per la tessitura e la cucitura delle vele, c'erano i
laboratori dei fratelli Michele e Tommaso Albanese, 'ncopp' 'a
Scarpetta, e altri minori. Per le armature e le attrezzature
in ferro c'erano le fucine di Michele Pugliese e di Luigi Suarato,
sott'a ddu Turcone. Per la fabbricazione dei cordami c'era
un importante stabilimento nei pressi della stazione ferroviaria.
Lo stabilimento dal titolo «Compagnia industriale e commerciale
per la confezione della canapa», fu fondata con R. Decreto
del 20 febbraio 1872 e modificato con altro Decreto del 30 gennaio
1873. Lo scopo per cui fu fondata la Società era appunto quello
della fabricazione della canapa per uso dei bastimenti da pesca
e da traffico. Il suo capitale nominale era di lire 240.000, diviso
in 600 azioni, ciascuna del valore di lire 400.
***
L'industria maggiore, l'industria
regina, l'industria silenziosa, per Torre del Greco, era quella
del corallo ed era una grande sorgente di ricchezza e benessere
per l'intera città. Il commercio dei manufatti si estendeva a tutti
i mercati del mondo e nei duecento laboratori torresi, trovavano
lavoro oltre diecimila lavoratori d'ambo i sessi. Come per l'industria
navale, anche per quest'ultima attività industriale dei torresi
lo Stato intervenne per incoraggiarla, con una scuola per l'addestramento
dei lavoratori del corallo. Con R. Decreto in data 23 giugno 1878
fu istituita, UNICA AL MONDO, la Regia Scuola d'Incisione sul corallo
e di Arti decorative e industriali.
Il relativo Regolamento, approvato dal Consiglio direttivo
della scuola il 12 aprile 1879, fu sanzionato per altro Decreto
del 10 maggio successivo e quindi la scuola cominciò a funzionare
con due corsi d'insegnamento: uno diurno della durata di otto ore
e l'altro serale di tre ore. Vi erano due insegnamenti, come il
regolamento prescriveva: uno per il disegno e l'altro per la modellazione
e per l'incisione.
La scuola, agl'inizi, era frequentata da 15 alunni per il corso
diurno e da una trentina per quello serale, poi divenne la matrice
di tutti gli artisti torresi.
Intorno all'anno 1881, la spesa annua per il mantenimento della
scuola era di 8.700 lire. Vi contribuivano lo Stato per 3.000, la
Provincia per 3.000, la Camera di Commercio per 1.200 e il Comune
di Torre del Greco per 1.500 lire. In quel tempo era Presidente
del Consiglio direttivo, il prof. Palmieri. La fonte d'informazione
reca soltanto il cognome, però siamo portati a credere che doveva
essere Luigi Palmieri, l'insigne vulcanologo direttore dell'Osservatorio
Vesuviano, che tanto si prodigò per la popolazione di Torre del
Greco durante e dopo l'eruzione dell'otto dicembre 1861.
Oggi, proprio mentre si parla tanto di industrializzazione del Mezzo
giorno, quella gloriosa Scuola è stata soppressa. Come se non bastasse,
cittadini torresi sono stati costretti ad essere assoldati dal Governo
della Tunisia, e attualmente si trovano lungo le coste africane
intenti ad insegnare ai tunisini la pesca del corallo. E certamente
in seguito, perché costretti o allettati dal guadagno, andranno
i «professori» ad insegnare anche la tecnica della lavorazione,
come del resto già è avvenuto per la scuola di Alghero...
Ma qui c'è di nuovo il nostro poeta Osvaldo Maglione che fa cenno
di voler dire qualcosa, ascoltiamolo: - Ahi troppo seme vive
di perversi/ in questo disgraziato mio paese; / Sonvi appetiti ahimè
tanti e diversi!
Mentre gli altri creano, noi distruggiamo; anzi abbiamo già
distrutto,. E si tratta proprio di tutto ciò che a Torre c'era di
buono, di utile, di bello e che i nostri padri con infiniti sacrifici
crearono, rendendo la nostra città laboriosa, florida e felice.
Gli insonni risolutori di problemi, i riformatori di tutto ad ogni
costo, i moderni stru... tturatori e infra... stru... tturatori,
possono essere più che soddisfatti. Essi non hanno più nessun problema
da risolvere, niente più da riformare e nulla più da strutturare.
A Torre del Greco è stato tutto
distru... urato.
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