di RAFFAELE RAIMONDO
Al signor Umberto Acampora, carissimo amico, vorrei azzardare
due domande:
Prima domanda: Caro Umberto, quando non pensi alle targhe viarie,
a che cosa pensi?
Seconda domanda: Aspiri al conferimento del nostro «Oscar
di fesso»?
Se desideri quest'ultima per non lasciarti nell'illusione, ti avverto
che il Comitato di redazione è contrario all'assegnazione
dell'«Oscar» ai finti fessi. Se la fessaggine del candidato
non è di 24 carati, è inutile aspirare all'agognato
riconoscimento. Molte proposte ci sono state fatte in questi giorni
e nessuna di esse ha avuto esito positivo, perché abbiamo
stretto i freni, per non imitare certi organizzatori per i quali
non passa giorno che non assegnino a cantanti ed attori qualche
oggetto d'oro o d'argento raffigurante ora un microfono, ora una
grolla, ora una targa (non quella viaria) e ancora nastri, dischi...e
ultimamente perfino un'albicocca. Auguriamoci di vedere assegnare
in un futuro molto prossimo un torsolo di broccolo a grandezza naturale,
fatto di...piombo. Sulla testa però degli organizzatori e
dei festeggiati.
Scusami la divagazione, caro Umberto.
Rispondo alla prima parte della tua lettera e qui ci scappa un'altra
supplichevole domanda:
Perché sei tanto spietato verso i PP. RR. del Colle dei Camaldoli,
mi correggo, Colle S. Alfonso?
Ti sei schierato dalla parte di S. Romualdo che è di Ravenna
e per conto suo sta bene. Quanti monumenti in questa città!
Basta citarne alcuni: San Vitale, S. Apollinare in Classe, il battesimo
di San Giovanni in Fonte e il mausoleo di Teodorico; vi sono infine
le ceneri di quel po' po' di uomo che fu un tale Dante Alighieri.
Quella città è la capitale del mosaico, è la
quintessenza dell'arte bizantina. Perciò, lasciamolo quel
cocuzzolo spelacchiato a S. Alfonso. Hai voluto prendere le difese
di un santo ravennate scagliandoti contro un santo napoletano verace.
Caro Umberto, come tu certamente sai, Santo Alfonso è napoletano:
nacque nel 1696 a Marianella, un sobborgo agricolo di Napoli (Marianella
e Miano sono vicinissime, caso mai...).
Era un avvocato e, senza far torto al nostro direttore che pure
è avvocato dobbiamo aggiungere che Porzio, De Nicola e Marciano
messi insieme sì e no avrebbero potuto uguagliarlo.
Nauseato del mondo (allora ci si nauseava) lasciò la carriera
forense e si ritirò a Pagani. Ivi fondò l'ordine dei
Redentoristi ed il Convento.
A quei tempi non esistevano le scuole per il popolo e S. Alfonso,
oltre a predicare la parola di Dio, pensava ad istruire i poveri
in un modo alquanto diverso da quello degli attuali fumetti, giornali
sportivi e rotocalchi.
A Pagano esiste una biblioteca di 30.000 volumi ed in quella biblioteca
cercheresti invano di sapere chi è l'attuale «marito»
di quella tale cantante o attrice, o chi è il centravanti
della Carbosarda.
Sant'Alfonso morì all'età di 91 anni, beato lui anche
in questo, lasciando dietro di sé un'oceano di cultura non
soltanto religiosa. Non dimentichiamo che Egli era fraterno amico
del nostro Beato Vincenzo Romano.
Caro Umberto, io la penso come te; però la «fantasiosa
fantasia» dei PP. RR: è qualcosa di più solido.
Abbiamo imbastite a riguardo scherzose polemiche con gli amici avv.
Michele Maglione e con te stesso.
I nomi storico-geografici vanno rispettati, però si può
trovare il modo di accontentare tutti e potrebbe essere questo:
alla «sorella» targa si potrebbe aggiungere in parentesi
(Camaldoli della Torre).
In questo modo rimarrebbe il nome storico-geografico e non occorrerebbe
il decreto del Presidente della Repubblica.
Ora
passiamo alle targhe «sorelle» murate dopo il 1794.
La targa di ardesia, scomparsa ad opera del pallonista (1), recava
la dicitura: «Larga e Palude S.Giuseppe».Ora vorrei
domandarti se con i tempi che corrono è compatibile leggere
sulle targhe viarie..... <<largo». Parlando proprio
di quel Largo S. Giuseppe alle Paludi dobbiamo notare che, se il
pallonista non ha rispettato la targa, il Vesuvio ha sempre rispettato
quel largo.
Nell'eruzione del 21 maggio 1737 il torrente di fuoco, dopo aver
distrutto la cappella del Purgatorio e sfiorato la chiesa del Carmine,
si fermò proprio al punto dove è andato oggi distrutta
la targa.
Nell'eruzione del 15 giugno 1794 la lava si arrestò all'angolo
dell'attuale Corso Cavour con il Largo S. Giuseppe. Come puoi rilevare
dal grafico, la distanza minima fra le due punte delle due lave
è poco più di una ventina di metri. In quest'ultima
eruzione il Vesuvio fece grande strage di «larghi» (vedi
grafico). Investì e sommerse sotto un mare di fuoco il largo
del mercato (ove oggi sorge l'edificio della Posta) (2) e zone adiacenti,
il largo della Pietra del Pesce, (l'attuale confluenza fra le vie
Beato Vinc. Romano, Via Antonio Luisi, Via Gradoni e Canali e Corso
Umberto I, il largo della Chiesa (su per giù l'attuale Piazza
S. Croce) ed il largo della Ripa, denominazione popolare conservata,
corrispondente all'attuale largo dei Comizi. IL Vesuvio usava il
basalto fuso per seppellire i «larghi». Oggi i «larghi»
ed anche gli stretti usano seppellirli con il cemento armato.
Riguardo ai torroncini con il fascetto se ne vedono ancora. Uno
è quello su di un angolo di Piazza S. Croce, che reca la
denominazione Via Costantinopoli. Niente di più errato. Perché
a pochi metri esiste un'altra targa di ardesia «sorella»
delle antiche che reca la scritta: «Vico che conduce dietro
Costantinopoli». Volendo accorciare la dicitura, un po' lunghetta
per la verità, hanno cambiato il senso della vecchia targa.
La denominazione vecchia, quella esatta, voleva e vuole ancora far
capire che quella strada conduce dietro la chiesa di S. Maria di
Costantinopoli, ed infatti va a finire proprio vicino all'abside
di detta chiesa. Il torroncino, con fascetto grattato, dice invece
Via Costantinopoli, cioè ricorda il nome della città
turca.
Ma allora dovremmo aggiornare la targa e scrivere: «Via Instambul,
già Costantinopoli, già Bisanzio»? E' meglio
non parlare della qualità delle targhe moderne. Sarebbe poca
cosa questa a cospetto delle lapide che negli ultimi tempi sono
state murate sulle chiese e sui palazzi storici della nostra città.
Per averne una prova basta recarsi al Largo Plebiscito, guardare
le due lapidi murate ai lati del portone del Municipio e notare
in esse la qualità del marmo, la finezza dei caratteri tutti
a piombo fuso e poi volgere lo sguardo a quella porcheria murata
pochi anni orsono per il centenario dell'Unità, dalla quale
sono scomparse le lettere dipinte con la vernice.
Un consiglio d'amico: no!...non si tratta del caffè (è
aumentato, sai?).Non aspettare nétrepidante né calmo
e sereno che «la erba cresca», perché tra poco
non ci sarà nemmeno lo spazio sui cui possa crescere almeno
un filo di quella materia clorofillacea.
Comprati un potente binocolo, guarda il grande tronco di cono del
Vesuvio e osservalo bene. Noterai che la vegetazione sale sui suoi
fianchi e tra pochi anni quel rosso viola scomparirà del
tutto e la nostra «montagna» diventerà verde
come era prima dell'anno 79 d.C.
Tra quella vegetazione, naturalmente crescerà anche l'erba.
La potrai vedere da lontano, se acquisterai un appartamento al ventesimo
piano.
Il resto sarà tutto grigio e buio. Il tempio cambia gli uomini
e le cose e pare che si ostini a cambiarli in peggio.
Concludendo, ti ringrazio caro Acampora, perché la tua lettera
mi ha dato lo spunto per il mio solito articolo di quarta pagina.
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