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Tratto dal n° 16
de LA TORRE -
7 Ottobre 1967












































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Denominazioni e targhe viarie
 

di RAFFAELE RAIMONDO

Al signor Umberto Acampora, carissimo amico, vorrei azzardare due domande:
Prima domanda: Caro Umberto, quando non pensi alle targhe viarie, a che cosa pensi?
Seconda domanda: Aspiri al conferimento del nostro «Oscar di fesso»?
Se desideri quest'ultima per non lasciarti nell'illusione, ti avverto che il Comitato di redazione è contrario all'assegnazione dell'«Oscar» ai finti fessi. Se la fessaggine del candidato non è di 24 carati, è inutile aspirare all'agognato riconoscimento. Molte proposte ci sono state fatte in questi giorni e nessuna di esse ha avuto esito positivo, perché abbiamo stretto i freni, per non imitare certi organizzatori per i quali non passa giorno che non assegnino a cantanti ed attori qualche oggetto d'oro o d'argento raffigurante ora un microfono, ora una grolla, ora una targa (non quella viaria) e ancora nastri, dischi...e ultimamente perfino un'albicocca. Auguriamoci di vedere assegnare in un futuro molto prossimo un torsolo di broccolo a grandezza naturale, fatto di...piombo. Sulla testa però degli organizzatori e dei festeggiati.
Scusami la divagazione, caro Umberto.
Rispondo alla prima parte della tua lettera e qui ci scappa un'altra supplichevole domanda:
Perché sei tanto spietato verso i PP. RR. del Colle dei Camaldoli, mi correggo, Colle S. Alfonso?
Ti sei schierato dalla parte di S. Romualdo che è di Ravenna e per conto suo sta bene. Quanti monumenti in questa città! Basta citarne alcuni: San Vitale, S. Apollinare in Classe, il battesimo di San Giovanni in Fonte e il mausoleo di Teodorico; vi sono infine le ceneri di quel po' po' di uomo che fu un tale Dante Alighieri. Quella città è la capitale del mosaico, è la quintessenza dell'arte bizantina. Perciò, lasciamolo quel cocuzzolo spelacchiato a S. Alfonso. Hai voluto prendere le difese di un santo ravennate scagliandoti contro un santo napoletano verace.
Caro Umberto, come tu certamente sai, Santo Alfonso è napoletano: nacque nel 1696 a Marianella, un sobborgo agricolo di Napoli (Marianella e Miano sono vicinissime, caso mai...).
Era un avvocato e, senza far torto al nostro direttore che pure è avvocato dobbiamo aggiungere che Porzio, De Nicola e Marciano messi insieme sì e no avrebbero potuto uguagliarlo.
Nauseato del mondo (allora ci si nauseava) lasciò la carriera forense e si ritirò a Pagani. Ivi fondò l'ordine dei Redentoristi ed il Convento.
A quei tempi non esistevano le scuole per il popolo e S. Alfonso, oltre a predicare la parola di Dio, pensava ad istruire i poveri in un modo alquanto diverso da quello degli attuali fumetti, giornali sportivi e rotocalchi.
A Pagano esiste una biblioteca di 30.000 volumi ed in quella biblioteca cercheresti invano di sapere chi è l'attuale «marito» di quella tale cantante o attrice, o chi è il centravanti della Carbosarda.
Sant'Alfonso morì all'età di 91 anni, beato lui anche in questo, lasciando dietro di sé un'oceano di cultura non soltanto religiosa. Non dimentichiamo che Egli era fraterno amico del nostro Beato Vincenzo Romano.
Caro Umberto, io la penso come te; però la «fantasiosa fantasia» dei PP. RR: è qualcosa di più solido. Abbiamo imbastite a riguardo scherzose polemiche con gli amici avv. Michele Maglione e con te stesso.
I nomi storico-geografici vanno rispettati, però si può trovare il modo di accontentare tutti e potrebbe essere questo: alla «sorella» targa si potrebbe aggiungere in parentesi (Camaldoli della Torre).
In questo modo rimarrebbe il nome storico-geografico e non occorrerebbe il decreto del Presidente della Repubblica.
Ora passiamo alle targhe «sorelle» murate dopo il 1794.
La targa di ardesia, scomparsa ad opera del pallonista (1), recava la dicitura: «Larga e Palude S.Giuseppe».Ora vorrei domandarti se con i tempi che corrono è compatibile leggere sulle targhe viarie..... <<largo». Parlando proprio di quel Largo S. Giuseppe alle Paludi dobbiamo notare che, se il pallonista non ha rispettato la targa, il Vesuvio ha sempre rispettato quel largo.
Nell'eruzione del 21 maggio 1737 il torrente di fuoco, dopo aver distrutto la cappella del Purgatorio e sfiorato la chiesa del Carmine, si fermò proprio al punto dove è andato oggi distrutta la targa.
Nell'eruzione del 15 giugno 1794 la lava si arrestò all'angolo dell'attuale Corso Cavour con il Largo S. Giuseppe. Come puoi rilevare dal grafico, la distanza minima fra le due punte delle due lave è poco più di una ventina di metri. In quest'ultima eruzione il Vesuvio fece grande strage di «larghi» (vedi grafico). Investì e sommerse sotto un mare di fuoco il largo del mercato (ove oggi sorge l'edificio della Posta) (2) e zone adiacenti, il largo della Pietra del Pesce, (l'attuale confluenza fra le vie Beato Vinc. Romano, Via Antonio Luisi, Via Gradoni e Canali e Corso Umberto I, il largo della Chiesa (su per giù l'attuale Piazza S. Croce) ed il largo della Ripa, denominazione popolare conservata, corrispondente all'attuale largo dei Comizi. IL Vesuvio usava il basalto fuso per seppellire i «larghi». Oggi i «larghi» ed anche gli stretti usano seppellirli con il cemento armato.
Riguardo ai torroncini con il fascetto se ne vedono ancora. Uno è quello su di un angolo di Piazza S. Croce, che reca la denominazione Via Costantinopoli. Niente di più errato. Perché a pochi metri esiste un'altra targa di ardesia «sorella» delle antiche che reca la scritta: «Vico che conduce dietro Costantinopoli». Volendo accorciare la dicitura, un po' lunghetta per la verità, hanno cambiato il senso della vecchia targa. La denominazione vecchia, quella esatta, voleva e vuole ancora far capire che quella strada conduce dietro la chiesa di S. Maria di Costantinopoli, ed infatti va a finire proprio vicino all'abside di detta chiesa. Il torroncino, con fascetto grattato, dice invece Via Costantinopoli, cioè ricorda il nome della città turca.
Ma allora dovremmo aggiornare la targa e scrivere: «Via Instambul, già Costantinopoli, già Bisanzio»? E' meglio non parlare della qualità delle targhe moderne. Sarebbe poca cosa questa a cospetto delle lapide che negli ultimi tempi sono state murate sulle chiese e sui palazzi storici della nostra città. Per averne una prova basta recarsi al Largo Plebiscito, guardare le due lapidi murate ai lati del portone del Municipio e notare in esse la qualità del marmo, la finezza dei caratteri tutti a piombo fuso e poi volgere lo sguardo a quella porcheria murata pochi anni orsono per il centenario dell'Unità, dalla quale sono scomparse le lettere dipinte con la vernice.
Un consiglio d'amico: no!...non si tratta del caffè (è aumentato, sai?).Non aspettare nétrepidante né calmo e sereno che «la erba cresca», perché tra poco non ci sarà nemmeno lo spazio sui cui possa crescere almeno un filo di quella materia clorofillacea.
Comprati un potente binocolo, guarda il grande tronco di cono del Vesuvio e osservalo bene. Noterai che la vegetazione sale sui suoi fianchi e tra pochi anni quel rosso viola scomparirà del tutto e la nostra «montagna» diventerà verde come era prima dell'anno 79 d.C.
Tra quella vegetazione, naturalmente crescerà anche l'erba. La potrai vedere da lontano, se acquisterai un appartamento al ventesimo piano.
Il resto sarà tutto grigio e buio. Il tempio cambia gli uomini e le cose e pare che si ostini a cambiarli in peggio.
Concludendo, ti ringrazio caro Acampora, perché la tua lettera mi ha dato lo spunto per il mio solito articolo di quarta pagina.