Home page > Articoli > C'era una volta Piedigrotta
 
Tratto dal n°14
de LA TORRE -
del 1977
 
 
Sette settembre ohéeee!...
 
C'era una volta Piedigrotta
 

Alle volte strane coincidenze ravvivano dei ricordi sopiti dal tempo, e ridestano delle sensazioni gradevoli o amare, a secondo dei casi. Ma se dovessi definire ciò che ho provato nei trascorsi giorni d'agosto, per una somma di circostanze, non saprei esprimerlo. Posso dire però, che i ricordi quanto più belli sono, tanto più hanno un sottofondo di malinconia.
A provocare im me questo indefinibile stato d'animo è stato l'ascolto di una canzone di un amico
lontano e una foto che mi ha «sorriso» dalle pagine di un rotocalco e che mi ha fatto esclamare: - Toh, chi si rivede!...

*** *** ***

Alle ore 12,35 di Martedì 8 agosto, il telefono trilla e dall'altro capo del filo mi giunge la voce premurosa di mia figlia Rosetta: - Papà, «Telenapoli» sta trasmettendo la canzone del tuo amico!... E infatti, attraverso il telefono, odo la voce inconfondibile della Mignonetta nell'insuperabile interpretazione di «Cartulina'e Napule».
Questa ormai celebre canzone, che proprio in questi giorni compie cinquant'anni, mi è particolarmente cara per la fraterna amicizia che mi lega all'autore dei versi, Pasquale Buongiovanni, che risiede a New York; perciò la telefonata di mia figlia.
Prima ancora che il telefono trillasse, stavo osservando un inserto pubblicato nel settimanale «Oggi» (N. 31 del 30 luglio 1977) dal titolo «Guida alle Tradizioni» quando da una pagina salta ai miei occhi una stupenda foto a colori raffigurante una veduta parziale delle luminarie da me progettate per la Festa della Piedigrotta del 1960 in Piazza Vittoria a Napoli.
E' un'inquadratura tra le tante, riportata nell'Enciclopedia «Colorama» della Mondadori, in parecchi libri (anche didattici), pubblicazioni varie, riviste turistiche e perfino sulle copertine di una serie di quaderni scolastici, dove il fabbricante (...è pure bergamasco!) vi ha fatto stampare: ... «Proprietà riservata». Dato però che l'autore di queste luminarie meravigliose, non è bergamasco ma è torrese di Torre del Greco e se ne vanta, con tanti saluti alla «proprietà riservata», il lettore potrà vedere in questa stessa pagina per rendersi anche conto di come, oggi, alle volte si usa parlare di luminarie, per quattro «lampetelle» e tre «fetecchie».

*** *** ***

Combattuta a spada tratta perfino da certa stampa napoletana, era fatale che la Festa di Piedigrotta morisse. Io che scrivo ne ebbi la netta sensazione fin dal 1955, per le violenti critiche rivolte all'amministrazione comunale del tempo, per lo sperpero di danaro pubblico che si faceva per la festa, attraverso gli articoli giornalistici di tre o quattro «schiattamuorte». E tali erano, perchè anche... jettatori, come si vedrà.
Proprio in quell'anno, ad un pannello luminoso dal titolo «Tarantella a Marechiaro», feci applicare una specie di colonna sonora sincronizzata coi movimenti delle figure cinematiche disegnate sul pannello.
L'attesa era vivissima, tanto che la RAI mandò in onda una conversazione tra me e il giornalista Ennio Mastrostefano.
Nella sera della prove preliminari, tanto per incominciare, fui borseggiato a Piazza Tribunali mentre salivo su di un autobus. Giunto nella zona, vidi da lontano che le cose non davano bene. Infatti quando arrivai sul posto, ai miei occhi si presentò una scena straziante. Tutti i componenti la squadra degli elettricisti, primo tra tutti Nicola Del Gatto, si dibattevano in un pianto dirotto che al mio sopraggiungere si tramutò in un coro di lamenti e singhiozzi. Tracce di sangue sull'asfalto... «Totonno'o nunziatese» era precipitato dall'impalcatura del pannello da un'altezza di 15 metri. Arrivò morto al vicino ospedale » Loreto» di via Crispi. Era la sera del 24 agosto 1955.
La sera del 5 settembre, andò in funzione il «marchingegno» con la voce registrata del «pulcinella» Gianni Crosio, con orchestra a plettri e coro, davanti a migliaia e migliaia di spettatori entusiasti per la perfetta sincronia delle luci con i suoni: «'O Vesuvio s'ha miso 'a curona 'e nu rre / bérébébbétébbé... bérébébbétébbé...».
Il giorno dopo, «Il Giornale», quotidiano liberale napoletano, in un corsivo di cronaca, alla sparata del Pulcinella delle luminarie, fece la sua, e con un violentissimo articolo sotto il titolo «Peperepè Cuppulò supplizio cinese», chiese a gran voce la testa del sottoscritto: «Chi sarà mai stato l'autore 'geniale' di questa incredibile trovata che non serve a nulla, per additarlo a quanti sono costretti a subire la tortura da 'giardino di supplizio' non sappiamo e ce ne duole. Sarebbe gustoso conoscere i...giudizi espressi su questo 'inventore', perturbatore della pace del prossimo». Voi capite? Durante la fragorosa festa di Piedigrotta, quell'infelice invocava «la pace del prossimo».
Il pennaruto sapeva che il «sonoro» era dosato in modo da essere contenuto entro un raggio abbastanza limitato, anche per evitare distorsioni; ma lui era contro la festa: era uno di quei tre o quattro «schiattamuorte».
Per sei anni consecutivi e fino al 1960, le luminarie raggiunsero il massimo dello splendore... è proprio il caso per dirlo, tanto da richiamare l'attenzione di uno scrittore come Domenico Rea, in un suo articolo , «Le feste: le luminarie in questi ultimi tempi hanno subito un'integrale trasformazione».
Dopo il 1960, con l'avvento degli «schiattamuorte» al potere, Piedigrotta divenne una specie di «festa'e ll'Archetiello», (per la quale furono, diciamo, sperperati più denari di prima), per finire ingloriosamente alcuni anni dopo.

*** *** ***

I torresi hanno sempre dominato in ogni campo della festa di Piedigrotta, ad incominciare dai fuochi artificiali; anzi questo primato è addirittura atavico, risale ai tempi della dominazione spagnuola.
Il conte di Castrillo, per dimostrare ai suoi generali che il Castello dell'Ovo era vulnerabilissimo dal mare, al contrario di quello che essi ritenevano, volle darne una prova mediante una finzione.
Si trattava di simulare un attacco dei francesi dal mare, lo sbarco e la distruzione del Castello, impiegando una massa enorme di fuochi artificiali. Perciò bandì un concorso tra i migliori pirotecnici di Napoli e dintorni, e per il gran numero di concorrenti, tutti rinomati, la scelta fu laboriosa, lunga e difficile, ma alla fine l'incarico venne affidato ad un «fuochista» di Torre del Greco, tale Giuseppe Dell'Orca.
Il 9 settembre 1637, era di Domenica, a due ore di notte (ore 21 circa), ebbe inizio lo spettacolo che, a detto dei diaristi dell'epoca, fu talmente terrificante e vicino alla realtà, che lo stesso viceré temette per la sabilità dell'antico Castello, specialmente quando avvenne la simulazione dell'esplosione della «santabarbara». Alla fine sia il popolo che il viceré decretarono il trionfo di Giuseppe Dell'Orca, «il fuochista» di Torre del Greco.
Ancora oggi, anche senza la Festa di Piedigrotta, si usa ripetere tale spettacolo...a scartamente ridotto, naturalmente.

*** *** ***

Sono ancora in molti a ricordare che cosa erano i «carri» piedigrotteschi, prima ancora che i torresi partecipassero alla festa con il loro artistico carro. Generalmente erano dei rozzi carrettoni con gente messe su alla rinfusa o intorno ad un tavolo d'osteria con l'immancabile pergolato, il cantante con la posteggia, il vino a tavola e i commensali ubbriachi per davvero: Così tra un baccano indescrivibile, urla scomposte e «tammurriate» che facevano ondeggiare paurosamente le sovrastrutture delle... carrette, traballando scendevano «pe' Tuledo».Tutte cose messe su senza alcun significato.
Nel 1933, Torre del Greco partecipò alla festa con il suo caratteristico carro «'A curallina» costruito su bozzetto dello scultore Vincenzo Noto.
Il carro rappresentava la parte poppiera di quel tipo di barca adibita alla pesca del corallo, con l'argano detto «vuocia-vuocio» che serve a tirare in superficia l'«ingegno» dopo che questo, strisciando sui «banchi», ha strappato dalle profondità del mare, il prezioso corallo. Come si vede, il carro rappresentava anche l'attività industriale di Torre del Greco.
Ma la parte sentimentale, poetica, musicale, fu la marinaresca canzone del carro (un pezzo d'antologia degno di figurare tra brani di opere liriche): «'A curallina», espressamente composta dal poeta torrese Giuseppe Raiola (Raimir)

Quanno torna 'sta curallina, -
saje che festa fa Matalena!...
Tira, tira ch' 'a rezza è chiena,
Tira ca vèeene...

"Se scasaje» Napoli (per dire: non restò nessuno in casa) e per poco non «se...scassaje», perchè la voce di Eduardo Cioffi con quelle del coro (senza microfoni), facevano tremare i vetri dei balconi (qui mi pare di aver esagerato un po'...).
Dove, invece, non esagero è quando dico che il dominatore assoluto per parecchi anni, rendendo favolosa la partecipazione dei torresi alla festa, fu lo scultore Antonio Mennella. Con la sua arte e con il suo gusto fine, egli dette un significato ai carri attraverso le sue artistiche composizioni allegoriche.
Il primato dei torresi si era consolidato a tal punto che, lungo il percorso dei carri, l'interesse maggiore era esclusivamente per il carro di Torre del Greco. Il pubblico in attesa, con impazienza domandava: - Ma quanno passa 'o carro d' 'a Torre?!... Poi quando passava, gli oooh! di ammirazione, facevano eco agli scroscianti applausi che, assieme ai fiori, ai coriandoli e alle stelle filanti, piovevano dai balconi.
Non mancavano le espressioni di disappunto e di rabbia mal repressa degli altri concorrenti o dei loro sostenitori: «O vi' loco 'o carro d' 'a tina 'e miezzo... vénceno sempre lloro...». E quando queste parole giungevano alle orecchie dei torresi, numerosissimi attorno al «loro» carro, i malcapitati, oltre all'amarezza della sconfitta, «abbuscavano» pure.
I vari comitati rionali di Napoli erano avviliti a tal punto, che arrivarono a chiedere perfino il «fuori concorso» per il carro di Torre del Greco.
Nel 1950, i napoletani affidarono la progettazione di un carro ad un torrese credendo di rompere.... l'incantesimo. Risultato: primo premio a Torre del Greco (Antonio Mennella); secondo premio al carro napoletano (Nicola Ascione) ...e così i torresi raddoppiarono il loro successo.
Non vanno dimenticati i nomi di Salvatore d'Amato: era lui a dare ai carri, i colori, i toni e le delicate sfumature, e quello di Antonio Sorrentino, «Tatonno 'o paratore», detto «martelluccio d'oro», impareggiabile costruttore insieme al figlio Vincenzo.
Altri progettisti di carri, furono Antonio D'Auria e Antonio Candurro. Un particolare curioso e triste: il carro di quest'ultimo (1939) non uscì mai dallo spazio dei Molini Marzoli, dov'era stato quasi ultimato. Il 1° settembre, la Germani invase la Polonia: era l'inizio della seconda guerra mondiale...
A questi nomi ne andrebbero aggiunto un altro, se non temessi di parlare troppo di me. E debbo dire anche, che quest'articolo eccezionalmente redatto in prima persona mi dà molto fastidio.
Nel 1954, una ventata dal nord (il vento spira sempre dal nord), portò a Piedigrotta, provenienti da Viareggio, i carri di Carnevale e, a proposito di Carnevale, ci fu pure chi voleva trasportare a Napoli...il Carnevale di Rio de Janeiro...con tutte le sue componenti...

*** *** ***

"Piedigrotta» non era soltanto la festa, era anche un'industria esclusivamente napoletana: l'industria della canzone, attraverso le varie case editrici. Queste, prima e dopo la festa, presentavano nei teatri le così detta «Audizioni» delle nuove canzoni di Piedigrotta.
In tutti i teatri napoletani e in quelli della provincia, dall'«Eldorado-Lucia» nel Borgo Marinaro al «Goldoni» di Bellavista; dall'Arena Mergellina all'"Ercolano» di Resina; dal «Bellini» al «Garibaldi» di Torre del Greco, si esibivano gli «assi della canzone napoletana».
Le tre P della canzone napoletana: Parisi, Papaccio, e Pasquariello, Elvira Donnarumma, Gilda Mignonetta, Ria Rosa, Armando Gil, Ester Baroni, Ferdinando Rubino ("acquaiola 'e Margellina, tu si' overo 'na sciasciona.»...) e come potrei elencarli tutti ?!
Poi, nel dopoguerra, la Napoli canora scomparve, (mica fessi quelli del nord) e divennero «città canore», Sanremo, Venezia e Saint Vincent. Guarda caso tutte località dove, per alcune eccezioni o preferenze, esistono ancora i «casini» che, per la vita che in essi si svolge, non sono poi tanto dissimili a quelli soppressi con la legge Merlin. Anzi...peggio: vi si coltiva (anche) il vizio più tremendo e deleterio dopo quello della droga, il giuoco d'azzardo.
Se una volta gli autori, veri poeti e autentici musicisti, si ispiravano, per le loro composizioni, alle bellezze di Napoli o alle virtù muliebri della donna amata che a sua volta amava sinceramente, oggi sono rimasti alcuni lugubri parolieri e qualche strimpellatore di chitarra per i quali, il motoscafo del contrabbandiere, diventa il leggendario «Mas» di Luigi Rizzo; la donna generalmente è una «fraschetta» che tradisce e fà soffrire; e l'uomo, quasi sempre è un lamentevole «cornuto» che «chiagne e vvo murì».
Non parliamo della proliferazione dei così detti «complessi», roba da chiodi. Che strazio, specialmente quando rimaneggiano le canzoni napoletane!...
Ora hanno messo le mani sugli antichi cantoni popolari napoletani; e fossero almeno quelli. Ce n'è uno particolarmente orripilante, osceno e dissacrante, detto del «rosario». E' una specie di cantilena eseguita da un coro dalle voci (ripeto: dalle vo - ci) di invertiti: - «Cum mà dicite, uno, doie, tre e quattro, cinche, seie, sette e otto, dicite cummà'». Ogni epoca ha le conzoni che merita e quelle in cui viviamo non potrebbe essere più mer...itevole.
Dopo l'industria della canzone, quelli del nord, ci hanno tolto, portandole a casa loro, le industrie degli «spaghetti», delle conserve alimentari, delle «pizze» e delle «cozze».
A proposito delle cozze, cìè da segnalare che nel Settentrione, precisamente sulla riviera marchigiana, dai mitili escono delle... perle il cui valore si aggira intorno alle quaranta mila lire ognuna. ("Il Tempo», 28 agosto 1977).
Nel Mer(i)dione invece, mannaggia !, dalle cozze escono soltanto tifo, colera ed epatite virale...
Ci si è messa anche la Natura ! e vedi un po' che ...- «cozze» sta combinando!!!...
Riguardo la sporiazione di Napoli, ex capitale di uno stato tra i più prosperi d'Europa, c'è un canto, veramente antico e varemente popolare, che i nostri avi cantavano, non senza ragione, poco dopo il 1860.
Lo riporto dal Molinaro Del Chiaro:
«Vittorio, vattenne ca si' 'nu mariuolo, / Chello ch'hé' fatt'a Napule nu'sta bbuono. / Nàpule hè spugliato e Turino tu vieste, / Vittorio, fa priesto, vattenne da cca».

Raffaele Raimondo