La grande festa Eucaristica dei
Quattro Altari che veniva celebrata a Torre del Greco nel giorno
dell'ottava del Corpus Domini e perciò detta «l'Ottava»,
non ebbe origine nella detta città.
Per poter parlare della festa dei Quattro Altari, occorre innanzitutto
conoscere il significato dei QUATTRO altari. E come per i «baroni»,
per i quali dovemmo «recarci» a Sabbioneta a cercare
il bandolo della matassa, anche stavolta siamo costretti a «recarci»
in Lombardia, però, a Milano.
* * *
Sant'Antonio Maria Zaccaria (1502-1539),
fondatore dell'ordine dei Barnabiti e quello delle Angeliche di
S. Paolo, istituì a Milano, e per la prima volta, la pia
pratica delle «Quarant'ore» che consisteva, appunto,
nell'esposizione solenne e continua della SS. Eucaristia per un
periodo di quaranta ore.
E come si verificò per la solennità del Corpus Domini,
che prima ancora che Urbano IV la istituisse «ufficialmente»
già si celebrava a Liegi, avvenne anche per le «Quarantore».
Infatti, solo nel 1592 e VIII, la pratica venne introdotta a turno
in tutte le chiese di Roma. Ciò avveniva nel primo centenario
della scoperta di Colombo, cioè quando le popolazioni del
Nuovo Continente avevano ormai conosciuto il Messaggio di Cristo,
e in quelle lontane terre si celebrava il Sacrificio Divino attraverso
il Sacramento dell'Eucarestia.
Nelle chiese, perciò, a chiusura delle Quarantore, si impartiva
ai fedeli la benedizione Eucaristica da quattro punti diversi che
rappresentavano i QUATTRO continenti allora conosciuti e che stavano
a significare l'universalità del'Eucarestia per l'avverata
profezia di Malachia: «Ma dall'Oriente all'Occidente, il mio
nome è grande fra le genti, e in ogni luogo si offrono sacrifici
d'incenso al mio nome, insieme a un'offerta pura» (Malachia,
1 -11).
Lo scrittore napoletano Alfonso Fiordalisi, nel 1902, in «Napoli
Nobilissima», Vol. II - pag. 13, scrisse che «nel 1686
si cominciò a Napoli la pia consuetudine delle Quarantore».
La pia pratica delle Quarantore, invece, si celebrava a Napoli,
fin dall'anno 1596, se non proprio nello stesso modo in cui incominciò
a Roma e cioè, ripetiamo, nel 1592 primo centenario della
scoperta di Colombo e a circa venti anni dalla grande vittoria di
Lèpanto (1571). Ce lo conferma Antonio Bulifon nei suoi «Giornali»:
«Nell'ultima notte di carnevale del 1596 si brugiò
la chiesa del Giesù nuovo dei PP. Giesuiti con l'occasione
che, essendovi tenute in quelli tre giorni le QUARANT'HORE, non
essendosi dell'intutto smorzate le cere, furono riposte dentro una
cassa dietro l'altare maggiore; mentre per lo che, riaccesesi e
ritrovata materia combustibile a sufficienza per li ordigni e legnami,
ch'havevano servito per la machina, brugiò ogni cosa».
(La «macchina» era un palco su cui venivano rappresentati
i «misteri»).
Le Quarantore alla chiesa del Gesù Nuovo, capitavano sempre
negli ultimi tre giorni di carnevale, perché sempre nei detti
giorni troviamo le annotazioni nelle cronache dei diaristi. Ciò
sta a dimostrare che anche a Napoli, come a Roma, nelle chiese c'era
il turno almeno fin dal 1596. Eccone una del Fuidoro di molti anni
dopo:
«Domenica, 24 febbraio 1664, fu fatto il teatro alla chiesa
del Giesù Nuovo per le Quarant'Ore di questi tre giorni ultimi
di carnevale, senza lumi di cera, ma tutti d'oglio e fu la prima
volta che i PP. intieramente la fecero in questo modo all'uso della
loro chiesa di Roma e riuscì bellissimo. Il mistero fu la
sommersione di Faraone nel Mar Rosso. Il dì seguente ci fu,
la sera, il viceré e la viceregina».
Vediamo dove, perché e quando, la festa dei Quattro Altari
incominciò ad essere una celebrazione esterna, pur se nelle
chiese o nei chiostri dei conventi si continuò ad allestire
i quattro altari durante le Quarantore.
L'usanza venne abolita nel 1686, dal vicario capitolare Don Francesco
Verde, per motivi di moralità.
* * *
Nel 1616, il viceré Don
Pietro Fernandez de Castro, conte di Lemos, aveva portato a termine
la costruzione del Palazzo Reale di Napoli, opera dell'architetto
Domenico Fontana iniziata nell'anno 1600 dal conte di Lemos padre.
La città si era estesa di molto, verso occidente, per l'apertura
della nuova strada ad opera del viceré Don Pietro di Toledo
(1536) e per la costruzione della chiesa di San Giacomo degli Spagnoli
(1540) . Inoltre, erano sorti diversi palazzi al disopra e al disotto
della nuova strada, oltre ad innumerevoli abitazioni e caserme dette
«I Quartieri».
«Essendosi terminato, dal Viceré conte di Lemos, il
Palazzo Reale; ed essendosi fatti diversi palazzi ed altre abitazioni
nelle nuove strade delineate dal Vice re Toledo, cioè nella
strada di Toledo e nei vicoli tracciati al di sopra e al disotto
della stessa, venne stabilito farsi la processione dell'ottava del
Corpus Domini, benedicendosi la città per questi nuovi quartieri;
e fu detta dei QUATTRO ALTARI, da quegli altari che si fanno per
benedire la città da quattro punti diversi» (Ceva Grimaldi
- Memorie Storiche della Città di Napoli - 1857).
Nel tempo in cui scriveva il Ceva Grimaldi, nel giorno dell'Ottava,
da tutte le parrocchie di Napoli uscivano processioni col SS. Sacramento
(op. cit. - pag. 660).
Lo stesso viceré istituì, presso la chiesa di S. Giacomo.
La Reale Congregazione del SS. Sacramento dei nobili Spagnoli».
L'edificio in cui ebbe sede fu costruito espressamente e costò
circa 45mila ducati.
Nel giorno della vigilia di Natale del 1624, furono stabilite le
regole e le norme della detta Congregazione sotto il patrocinio
del viceré D. Antonio Alvarez de Toledo Boemendo duca d'Alba
( la figlia di questi, Maria de Toledo y Velasco, vedova nel 1689
del Principe di Stigliano Nicola Gusman Carafa, per un errore degli
storici, torresi e non torresi, fu inserita tra i baroni di Torre
del Greco al posto della cognata duchessa di Medina Simonia, unica
erede legittima del feudo di Torre del Greco.
(L'equivoco è stato chiarito soltanto nel 1972).
La Congregazione divenne col tempo una sorgente di soccorsi e sussidi
varii a favore dei poveri spagnoli.
Con i numerosi legati lasciati da ricche famiglie della Spagna,
provvedeva a soccorrere e a difendere i carcerati e far mettere
in libertà quelli che erano detenuti per debiti contratti
realmente per necessità e altre opere di misericordia, quali
quelle di soccorrere gli infermi, seppellire i morti ecc.
La pia istituzione, annualmente, elargiva anche numerosi maritaggi.
Una cosa analoga, ancora oggi, avviene a Torre del Greco, dove,
in occasione della festa dei Quattro Altari, l'Ente Comunale di
Assistenza alcuni maritaggi in ottemperanza ad un'usanza molto antica
(prima veniva fatto dalla Congrega di Carità).
* * *
Non sappiamo con precisione quando
ebbe luogo, a Napoli, per la prima volta la festa dei Quattro Altari,
però tutto ci induce a credere che ciò avvenne proprio
al tempo di Don Antonio Alvarez di Toledo duca d'Alba che fu viceré
dal 14 dicembre 1622 al 16 agosto 1629.
La festa si svolgeva al Largo del Castello ('o llario 'o Castello),
oggi Piazza Municipio.
Per avere un'idea della zona in cui avveniva, basta seguire, idealmente,
il seguente tracciato.
Il primo punto da stabilire è l'angolo di via S. Giacomo
con Piazza Municipio e Via Verdi, raggiungere la Via S. Carlo, fissare
il secondo punto alle cancellate dei giardini reali e ricordarsi
che la detta via nel '600 era intitolata a S. Francesco Saverio.
Dal secondo punto, rasentando i cancelli, raggiungere il terzo punto
che va fissato in asse con la dirimpettaia Via Medina.
Il quarto punto si trova sull'angolo dell'Hotel di Londra, che congiunto
al primo racchiude la zona in cui nacque e si svolgeva la festa
dei Quattro Altari.
I QUATTRO ALTARI erano serviti da QUATTRO Ordini religiosi, e cioè
dai padri dell'oratorio ( in realtà si trattava di congregazione
non di ordine), dai domenicani, dai teatini e dai carmelitani.
I quattro altari erano così disposti:
Il primo, nelle vicinanze della chiesa di S. Giacomo, era servito
alternativamente dai benedettini, dai carmelitani e dagli agostiniani.
Il secondo, vicino alle carceri di S. Giacomo (verso l'attuale Via
P. E. Imbriani) , era servito dai gesuiti. Il terzo, sulla strada
di S. Francesco Saverio, era servito dai teatini. Infine, il quarto,
verso la cinta di Castelnuovo, era servito dai padri domenicani.
Il viceré seguiva la processione che usciva dalla chiesa
di S. Giacomo, mentre le artiglierie, dagli spalti del Castelnuovo,
sparavano a salve (i fuochi artificiali di oggi servono appunto
a sostituire i cannoni di allora, perciò si chiamano «batterie»
e sono una caratteristica della festa).
La processione era formata in gran parte da truppe spagnole che
durante il percorso, di tanto in tanto, eseguivano scariche di archibugi.
Lo stendardo apparteneva alle QUATTRO primarie famiglie spagnole,
che avevano l'esclusivo diritto di portarlo ed erano le seguenti:
Avalosos del Marchese del Vasto; Cardines del Conte della Cerra;
Cavanillos; e, Guevara del Duca di Bovino.
Ed ecco alcune notizie tratte dai vari «giornali».
«Questa sera, 3 giugno 1660, ottava della festa del Santissimo,
fu fatta la processione della congregazione di San Giacomo delli
Spagnoli e li quattro altari nelli quattro capi delle strade li
fecero queste Religioni, cioè la congregazione sudetta li
donò circa ducati ottocento per tutti quattro altari senza
intricarsi d'altro; il convento di San Pietro Martire (PP. Domenicani)
fe' quello che si fa al pontone all'incontro l'ultimo torrione del
Castello, vicino la casa del procaccio; li PP. di Monte Oliveto
(Benedettini) quello all'incontro la chiesa di San Giacomo; li PP.
teatini (chierici regolari) quello della strada di San Francesco;
e li giesuiti quello che si fa vicino le carceri di San Giacomo.
In questi ultimi due non vi fu musicale fortezze fecero la salva
d'artiglierie, e fu fatto squadrone di soldatesca spagnola, come
il solito, di duemila soldati incirca» (I. Fuidoro).
Al giugno del 1670, Antonio Bulifon annota: «A 12, ottava
del Corpus Domini, si fece la solita processione a S. Giacomo degli
Spagnoli, ove fu S. E. con tutti li ministri ed officiali. Si fecero
li quattro soliti altari; quello alle carceri di S. Giacomo, che
si fa sempre da' Padri gesuiti; quello più basso incontro
la Garitta, dai padri teatini e quello incontro il Castello alla
Garitta, da' Domenicani. Vi è il quarto incontro la chiesa
a vicenda da' Benedettini di S. Severino e Monteoliveto, Carmelitani
e Agostiniani».
Notizie circa la festa dei Quattro Altari ce le da' anche il canonico
Carlo Celano (1617 - 1693) : «nella Piazza del Castello vi
è un famoso Oratorio, o vogliam dire Congregazione del Santissimo
Sacramento, dove stanno scritti e vi si congregano moltissimi divoti
nobili nazionali (i nazionali erano gli spagnoli) e nel giovedì
che chiude l'ottava del Corpus, fanno una solennissima processione
per le strade intorno la chiesa, che veramente è degna d'esser
veduta, perché in ogni capo strada vi si fa con bizzarro
e nobile teatro un altare ricco di tesori di argenti; e questi sono
al numero di quattro; si può dire che questa sia una delle
belle feste che si faccia nella nostra città» (C. Celano
- Notizie del Bello, dell'Antico e del Curioso della Città
di Napoli - 1692).
Finita l'epoca del viceregno (1734), come abbiamo detto per la festa
del Corpus Domini, anche sotto i Borboni le tradizioni vennero mantenute.
La festa dei Quattro Altari è descritta da Sthendhal, al
secolo Enrico Beyle (1783 - 1824), nel suo romanzo «Il Rosso
e il Nero». Egli si trovava a Napoli nel 1824 a fare man bassa
sui famosi manoscritti Corona e dovette assistere certamente alla
festa perché la «trasportò» poi, con la
sua meravigliosa fantasia, in un paesino della Franca Contea, Verrières
nelle vicinanze di Besançon dove si svolge il romanzo.
«L'odore dell'incenso e delle foglie di rosa (forse voleva
dire petali) gettate davanti al Santissimo Sacramento dai bambini
travestiti da San Giovanni Battista, finì di esaltarlo completamente
Mentre, con un tempo magnifico, la processione percorreva lentamente
la città, sostando dinanzi agli splendidi altari, che i pubblici
poteri avevano innalzato a gara lungo le vie, la chiesa era rimasta
immersa in profondo silenzio, in penombra, e in una piacevole frescura.
Era ancora tutta impregnata del profumo dei fiori e di quello dell'incenso»
(Stendhal - Il Rosso e il Nero - Cap. XXVIII).
La descrizione del celebre scrittore francese è davvero impressionante.
Egli parla di «pubblici poteri», di «splendidi
altari innalzati lungo la via» e di una «chiesa in penombra
e in una piacevole frescura» Ma solo chi non è torrese
non può avere la sensazione di trovarsi nella chiesa di S.
Croce e non pensare che, forse, Stendhal vide la festa dei Quattro
Altari proprio a Torre del Greco.
Raffaele Raimondo
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