La storia dei miei avi paterni, ed in particolare quella di mio padre nella prima fase della sua vita; legata alla Marina di Torre del Greco: ai maestri d’ascia e a quella della pesca delle spugne.
Il 26 aprile 1899, viene celebrato a Torre del Greco il matrimonio dei miei nonni paterni, Sebastiano Borriello, di trent’anni d’età, figlio di Domenico e Agnese Izzo; la sposa è la diciannovenne Emilia Malaspina, figlia di Vincenzo e Margherita Gargiulo.
Il 26 ottobre 1900 dal vincolo matrimoniale nasce nella città metropolitana di Napoli, ai piedi del Vesuvio, il figlio primogenito, Domenico (mio padre). Il 16 settembre 1902, con un nuovo parto viene alla luce il secondogenito chiamato Vincenzo, come il nonno materno. A meno dei due anni d’età, il 21 giugno 1904, il bambino, lascia questo mondo. Coprirà il vuoto da lui lasciato, la nascita, il 25 febbraio 1905, del terzogenito che viene chiamato anch’esso Vincenzo.
Nel frattempo Sebastiano Borriello, mio nonno, mentre i fratelli Raffaele e Francesco (Ciccio) si dedicano alla costruzioni d’imbarcazioni lungo la marina di Torre del Greco, preferisce navigare, per conto proprio, alla pesca delle spugne. Malgrado il monito: “Opera non v’à più miserande, e triste, che delle spugne il taglio in fondo a mare” (Oppiano Cilice).
Un’arte che i Torresi avevano appreso dai Greci. Un lavoro duro quello degli “spugnari”, più faticoso dei corallini; questi attraccano le loro imbarcazioni ai porti, mentre quelli rimanevano in vicinanza della pescata secca. La terra ferma la vedevano raramente dopo mesi di estenuante fatica. Dal porto di Torre del Greco, la partenza avveniva a fine marzo, il rientro agli inizi di Novembre.
La spugna appena pescata si presenta come una massa di diverso colore (dal giallo sporco al bruno o al nero), ricoperta da una pellicola con diversi fori che sono le bocche d’uscita di un sistema di canali interni e che costituiscono l’apparato nutritivo. L’acqua marina è pompata all’interno della spugna, dove viene privata delle particelle nutritive e quindi espulsa, grazie ad alcune cellule che risiedono nei canali interni.
Dal punto di vista chimico sono costituite da spongina, albuminoide affine alla conchiolina o alla fibrina, la cui composizione è data da carbonio, idrogeno, azoto e piccole quantità di zolfo e iodio sotto forma di combinazione (iodospongina). Una volta pescate, vengono portate in superficie, per essere compresse al fine di eliminare la sostanza organica; asciugate e purificate dalle parti molli con imbiancamento.
Quindi, le spugne una volta pescate, pulite, pressate e insaccate (ogni sacco dal contenuto di 50 kg.) venivano commercializzate come spugne da bagno. La spugna che compare sul mercato, pertanto, non è altro che lo scheletro corneo dell’animale dal quale è stata tolta tutta la parte vivente per mezzo di battitura e macerazione nell’acqua del mare. Un lavoro, quindi, faticoso, stressante, triste e miserando, lontano dal proprio paese, per portare a casa il sostentamento familiare.
Intanto a Torre del Greco, nel 1907, intorno al promontorio adiacente, a quello che sarà il molo di ponente, si è iniziato a scavare la lava sulla quale c’era la vecchia struttura del fortino di Calastro, divenuta nel 1873 proprietà comunale e ormai ridotto in un stato di avanzato degrado. Lo scopo: iniziare la costruzione dei mulini e del cementificio. Sono anni in cui il comparto del corallo sta patendo profonda crisi, dovuto all’intenso sfruttamento dei banchi coralliferi di Sciacca, e alla scarsa richiesta del mercato dei manufatti. Ecco perché molti armatori torresi decidono convertire le feluche coralline in spugnare.
Ormai all’ “ingegno” si è sostituita la “gangava” o “gava” strumento che pesca le spugne con apposite reti (tuttavia una pesca a strascico che col tempo sarà proibita).
E’ dal 1895 che i torresi praticano, oltre alla pesca del corallo, anche quella delle spugne, inizialmente a Lampedusa, saltuariamente e poi in modo costante a Sfax in Tunisia.
Dal 1° giugno 1895 al marzo 1896 i pescatori italiani esercitarono la pesca delle spugne in acque tunisine per mezzo di 4 gangave (o cave) e 51 fiocine. Le barche fornite di cave appartenevano ad armatori di Torre del Greco con una stazza di 74 tonnellate, equipaggiate da 22 uomini. Operavano, gli italiani insieme ai greci, prevalentemente lungo le coste delle regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica.
Tra il 29.06.1911 al 18.10.1912, il Regno d’Italia, per conquistare dette regioni, combatté contro l’Impero Ottomano, la guerra italo–turca (nota anche come guerra o impresa di Libia). L’esito della contesa a favore dell’Italia, comportò l’annessione oltre che della Tripolitania e Cirenaica, anche del Dodecaneso (insieme, quest’ultimo, alle dodici isole del mare Egeo nell’arcipelago delle Sporadi meridionale).
È in questo periodo che nonno Sebastiano, al comando del suo trabaccolo ”La Giuseppina”, lungo la costa tunisina, naviga per la pesca delle spugne. Il figlio primogenito Domenico (mio padre), immatricolato il 26.05.1911 nel Compartimento Marittimo di Torre del Greco, in qualità di mozzo, fin d’allora, imbarcato sulla “La Giuseppina”, naviga con il padre. Il 9 giugno 1911, anche nonna Emilia, che ha intuito che il marito è sul punto di tradirla. Ha voluto seguirlo fino a Sfax, insieme l’altro figlio, terzogenito, Vincenzo, malgrado fosse incinta, Dopo molti giorni di navigazione, non certo piacevoli, particolarmente per i figli, sbarcano nel porto tunisino provenienti da Torre del Greco. Non sarà difficile ambientarsi; particolarmente a Sfax, dove ci sono tanti e tanti italiani, tra cui molte famiglie torresi.
Il 19.02.1912, lontano dal patrio suolo, nasce Giuseppe, quarto figlio di Emilia Malaspina e Sebastiano Borriello. Certamente deve essere stato accolto con grande giubilo, particolarmente dai paesani lì residenti.
Nei mesi successivi, a Roma, il 25.11. 1912, all’Assemblea dell’Unione della Camera di Commercio italiane, Giovanni Battista Mauro, Consigliere e Delegato della Camera di Commercio di Napoli, fa una dettagliata esposizione sui “Provvedimenti a tutela della pesca del corallo”, visto la crisi in cui versa il settore.
A Torre del Greco, nello stesso anno, i mulini e il cementificio costruiti sul suolo di roccia lavica del demolito fortino di Calastro, vengono attivati.
Nel 1913, il trabaccolo “La Giuseppina” continua a navigare nelle acque del Mediterraneo tra l’isola d’Ischia e i porti della Tunisia, sempre al comando di mio nonno Sebastiano.
Il figlio Domenico che ha navigato col padre per alcuni periodi, chiede ed ottiene il 16.05.1973, previo il consenso paterno, il Nulla Oste d’imbarco su navi estere.
Nonna Emilia, il 3 febbraio 1914, dà alla luce il quinto figlio chiamato Luigi.
Intanto, per la persistente grave crisi del corallo, Giovanni Battista Mauro, eletto Presidente della Camera di Commercio di Napoli, delinea le proposte da portare al Governo. Riguardavano la proibizione della pesca nei confini nazionali ai paesi che non avevano accordato reciprocità di tutela. Tuttavia, a dimostrazione dell’importanza nell’economia cittadina della cantieristica, nel marzo 1915 scendono in mare per il loro varo ben quattro velieri, costruiti lungo la marina di Torre del Greco, operosa fucina per la formazione di giovani maestri d’ascia, tra i quali figuravano i fratelli di nonno Sebastiano Borriello, Raffaele e Francesco (Ciccio i Gnese).
A Torre del Greco, il 9 novembre del 1915, monna Emilia da alla luce Salvatore, il sesto figlio. Il primogenito Domenico, in periodi alterni, negli anni 1915/1917, effettua vari periodi d’imbarco per la pesca delle spugne a partire dall’isola d’Ischia, a bordo del trabaccolo “La Giuseppina”, come mozzo a comando del padre. Ciò a dimostrazione che malgrado lo scoppio della guerra ’15-’18, la pesca delle spugne non venne mai sospesa da parte dei torresi e dei trapanesi, sempre attivi ed operosi malgrado le avversità.
Purtroppo, il 18 giugno 1917, nelle acque di Chaffar (località a 40 chilometri a sud di Sfax), “La Giuseppina” affonda, stanca da tanto navigare.
Così Domenico, dopo altri 13 mesi e 12 giorni di navigazione, ritorna a Torre del Greco, col padre, che si vede, dalla fatalità, privato della decennale fonte di sostentamento. Ciò malgrado la vita continua. Un anno dopo, il 24 giugno 1918, la nonna partorisce il settimo figlio maschio, Gennaro, nato morto. I coniugi Borriello non demordano, non si lasciano prendere dallo sconforto, il 29 maggio 1919, all’anagrafe del Registro Civile di Torre del Greco, registrano la nascita di un’altro figlio dal nome anch’esso Gennaro, in ricordo di quello deceduto l’anno prima. È l’anno in cui il primogenito Domenico, il 29 novembre, nella Capitaneria di Porto di Torre del Greco, è arruolato con la leva di mare del 1900. Con la matricola militare 23533, il 22 aprile 1920, giusto ordine del giorno della Direzione Generale, viene rimandato, per bronco-alveolite a sinistra, alla prossima leva. Intanto il padre è al comando del cutter denominato “Peppino”, con scali a Palermo, Sicilia e a Castellammare di Stabia.
Il 5 maggio, Domenico s’imbarca, in qualità di marò, sullo stesso cutter. Sbarcherà a Salerno il 22 dicembre. Sei giorni dopo viene arruolato al corpo della leva 1907. Il 14 novembre 1912, Domenico, in qualità di sottonocchiere, al n°21975 di matricola, ottiene il congedo illimitato con decorrenza 29.11.1912. Il padre, frattanto, continua a navigare nel Mediterraneo al comando del cutter “Peppino”, su di esso il 5 gennaio 1923, il primogenito s’imbarca in qualità di marò. Dopo 3 mesi e 25 giorni di navigazione, il 30 marzo, sbarca a Castellammare di Stabia.
Il 1923 è l’anno in cui la Tripolitania diede circa 400 quintali di spugne, alla cui pesca furono adibite quasi 200 imbarcazioni e natanti vari.
Il 12 aprile, Domenico Borriello, munito di Patente di Padrone n°2, passa al comando del trabaccolo “Vincenzo Ferreri”. Dopo 9 mesi e 10 giorni di navigazione, avendo fatto scalo nei porti del Mediterraneo, sbarca il 21 gennaio 1924 nel porto di Torre del Greco. L’ultimo periodo di pesca, purtroppo, non è stato dei più facili e felici.
Durante un tremendo fortunale in mare aperto, soltanto la forza di volontà, la perizia e la tenacia di Domenico Borriello, al comando del trabaccolo ”Vincenzo Ferreri”, riusciva a portare in salvo l’imbarcazione. Lungo la banchina del porto di Torre del Greco, i familiari dei marinai imbarcati attendevano penanti per la sorte dei loro cari. Fu un tripudio riconoscente che, tuttavia, non riuscì a distogliere mio padre dal proposito di non continuare a far valere la sua Patente di Padrone Marittimo. Chiede ed ottiene il nullaosta, valido per tre anni, per l’imbarco su navi estere, e il Visa n°76, che gli permette di recarsi ad Algeri, in transito, per la Tunisia.
Il 23 febbraio 1924 è a Marsiglia. Riesce a raggiungere l’America. La sua permanenza dura fino al 25 settembre 1925, con l’imbarco a New York, in qualità di carbonaro, su nave estera diretta in Italia. Dopo 12 giorni di navigazione sbarca a Napoli. A Torre del Greco, il 22 ottobre contrae matrimonio con Carmela Coppola (mia madre) figlia di Enrico Coppola e Maria Luigia Coscia. Con la sua indole attiva e tenace riesce ad adattarsi in varie attività fino ad aprire nella Pescheria Comunale un banco per la vendita di pesce, prevalentemente pescato dalle imbarcazioni degli zii paterni, Raffaele e Francesco Borriello.
Tuttavia, insoddisfatto, decide di ritornare in America. Imbarcato da Genova, il 9 settembre 1926, su una nave diretta a New Orleans. Lì, il 14 settembre dello stesso anno, riceve da Torre del Greco la notizia che la moglie Carmela ha dato alla luce una bambina chiamata Emilia. Il 28 novembre 1926 è dichiarato disertore. La permanenza in America dura appena quattro mesi, visto i continui richiami della moglie venuta a conoscenza di una “tresca” amorosa con una signora americana che a Brooklyn ospita lui ed altri compaesani.
Il 17 gennaio 1927 sbarca a Genova. Ha inizio un periodo in cui, tra varie attività, cerca di sfruttare, come il suo amico d’infanzia, Michele De Simone, l’incisione di cammei.
Fin dai primi anni della fanciullezza era stata la madre Emilia Malaspina a volere che i figli fossero accettati nei laboratori di maestri incisori di cammei. Per invogliarli, metteva a disposizione una discreta somma di denaro che ogni settimana risultava fosse elargita dal maestro per il lavoro prestato dai figli.
La “Giuseppina”
Alba baciata da vivificante luce;
immenso l’azzurro cielo; frizzante è l’aria.
Sa di salsedine marina la soave brezza
che il viso mio accarezza e l’olfatto stimola.
Come petali di bianco fiore fluttuanti
dal vento sospinti,
all’orizzonte bianche vele appaiano;
su un azzurro trasparente ondulato tappeto vibrano
Imbarcazioni modeste, pescatori indomati;
lotta per la sopravvivenza.
Sussulta il cuore; del vissuto degli avi
immagini affiorano :
ecco la “Giuseppina”, il trabaccolo,
pescatore di spugne e di corallo.
Dal golfo di Napoli verso africane sponde salpa;
al comando, nonno Sebastiano.
Del prezioso scheletro dell’animale marino
dal mare attingere.
Dannata fatica di muscoli saldi;
privazioni intrise di sudore e lagrime
di giovani ai primi imbarchi.
Tanti, tanti anni sono passati, ormai,
Ai posteri, pur sempre,è bene ricordare:.
L’imbarcazione valente, la “Giuseppina”
dei maestri d’ascia di Portosalvo un gioiello.
Di nonno Sebastiano, per decenni,
all’ indefessa fatica, valido sostegno.
In prossimità delle coste del Magreb,
stanca ormai di tanto osare,
nelle acque non lontano da Sfax, esausta,
nelle profondità marine si lasciò andare.
Nello spazio tempo senza limiti
il suo fasciane si disciolse:
Caducità delle umane cose, della natura, l’eterno divenire.
Mi ricordo piccolo, 8 anni, sono nato sotto il ponte di Gavino, il marito di mia zia Virginia Cerasella, Peppe Gaudino, era un nostromo e pescatore di spugne e ci raccontava che arrivavano a Sfax a pescare e restavano fuori casa anche 10 mesi
Sì, vita decisamente dura, condivisa da così tanti concittadini che Torre ha anche una via Sfax, tra la sua toponomastica, in ricordo dei tanti che pescavano in quei mari
…. anche mio nonno Salvatore Aprea possedeva delle spugnare e coralline … Lui le costruive nei Cantieri Navali di Massa Lubrense …. Marina Grande di Sorrento Castellammare e Torre del Greco dietro l’altare di fabbrica …. da dove venivano varate …. da uno scivolo realizzato sulla lava vulcanica del 79 d C. ….
Nel raccontare questa storia abbiamo voluto recuperare la storia di molti torresi che con spirito di sacrificio hanno dato la possibilità alle proprie famiglie di vivere e alla città di crescere. L’auspicio era proprio questo: raccogliere altre testimonianze, anche minimali e a commento di questo post. Siamo davvero felici di ricevere le vostre testimonianze. Grazie!
E’ stato un piacere leggere la storia della vostra famiglia da noi tanto amata! Un caro saluto le nipoti di Ciccio i Gnese: Mariolina, Tonia, Loretta e Franca Borriello