I Borriello della marina di Torre del Greco, pescatori di spugne, maestri d’ascia, e raccoglitori di conchiglie per la glittica torrese, lungo lidi dell’Oceano Indiano. Continua il racconto di Sebastiano Borriello sugli eventi della nostra famiglia. Qui è ancora protagonista mio padre Domenico Borriello che dagli Stati Uniti giungerà sulle coste dell’Oceano Indiano dando una svolta alla sua vita. Sono gli anni che vanno dal 1926 al 1931
Vanto di Torre del Greco nel mondo è la pesca, la lavorazione del corallo, delle conchiglie e pietre dure, oltre alla cantieristica navale.
Dei figli di Sebastiano Borriello, torrese, pescatore di spugne lungo le coste del Magreb, fu Salvatore l’unico a sfruttare, da grande, l’incisione di cammei su conchiglia.
Grato alla madre, Emilia Malaspina, che aveva indirizzato i figli, dalla loro prima fanciullezza, all’apprendimento della lavorazione dei cammei.
Salvatore, marinaio, reduce dalla prigionia in Germania, fece dell’incisione di cammei fonte di sostentamento per sé e la famiglia che amorevolmente creò. Iniziò allestendo un laboratorio improvvisato nell’ampia stanza da letto della madre, sotto una finestra baciata dal sole, d’una luminosità soave durante il giorno.
Del resto tali laboratori, sia per l’incisione su conchiglie, corallo, relative manifatture ed indotto, pullulavano, specialmente nei rioni popolari di Torre del Greco, con l’arrivo dei contingenti militari americani durante l’inizio della liberazione del suolo patrio nell’ultima guerra.
Diversi itinerari seguirono gli altri fratelli, Domenico, Vincenzo, Giuseppe, Luigi e Gennaro.
L’avventurosa vita di Domenico Borriello, da New York a Città del Capo
Qui darò risalto al diversificato e avventuroso tragitto di operosa e fattiva vita vissuta dal fratello maggiore, Domenico (mio padre), dopo il matrimonio, celebrato il 22 ottobre 1925, con Carmela Coppola, figlia di “Errico u f(e)rrarecc(io) miézatorre” e Luigia Coscia, sorella del titolare della ditta “Vincenzo Coscia”; impresa torrese produttrice ed esportatrice di cammei, coralli e affini. Fu questo zio Vincenzo, uno dei primi a recarsi in Africa per organizzare la raccolta, approvvigionamento e commercializzazione delle conchiglie; materia prima per l’artigianato torrese.
Nel frattempo Domenico (Mimì), il marito della nipote Carmela, nel 1926, in qualità di marinaio, è imbarcato su una nave diretta a New Orleans. Noncurante d’essere dichiarato disertore, giunto a destino, il 26 novembre dello stesso anno, abbandonò la nave, in cerca d’una sistemazione in America.
In Italia, intanto, la moglie Carmela, diede alla luce, il 14 settembre, una bimba chiamata Emilia, come la nonna paterna. Una ragione in più per sollecitare il suo rientro, visto che, come alcuni torresi a Brooklyn avevano segnalato, era sul punto di cedere alle lusinghe d’un avvenente americana.
Il suo rientro, dopo pressante richiesta dei famigliari, avverrà il 17 gennaio del 1927.
Ecco come mia madre descrive quel periodo:
“Pensava fermarsi appena un anno, accumulare moneta e al ritorno aprire un negozio. Ma dopo 18 mesi d’attesa incominciò per me…il “calvario”. Ecco come: Mio marito era in America con un cugino ed alcuni amici, tutti ospiti a pagamento, di una signora anziana. Dopo alcuni mesi, detta signora, pretese che mio marito ed il cugino pagassero la stessa somma degli altri ospiti, non ritenendo opportuno continuare a praticar loro un trattamento di favore.
Questi non accettarono e così andarono ad abitare da una giovane signora che faceva pagare meno. Fu così che cominciò la “tresca”. La signora aveva tradito il marito e voleva che Mimì rimanesse con lei. Io lo seppi e scrissi a mio marito esortandolo a ritornare in Italia almeno per sei mesi. Dopo qualche tempo accettò la mia richiesta. Una volta da me gli feci capire che in America non sarebbe più tornato” .
Nel fluire del tempo, per un giovane dinamico, poliedrico, ambizioso, come Domenico (Mimì) Borriello, barcamenarsi nel suo Paese in attività modeste è un vero tormento; aspira ad espletare compiti prestigiosi in un orizzonte più ampio.
Il 6 ottobre 1929, con grande ansia ed emozione, può assistere a Torre del Greco, questa volta, alla nascita del figlio maschio, Sebastiano (il sottoscritto). È una ragione in più per riutilizzare la sua Patente da Padrone marittimo, accantonata il 21 gennaio 1924, dopo la sfortuna navigazione col trabaccolo Vincenzo Ferreri. E così che in data 28 aprile 1931 è a comando del motopeschereccio “Nuovo Cuore di Gesù” con destinazione Bengasi.
Dopo appena 26 giorni di navigazione sbarca e rientra in Italia. Il 30 aprile la moglie ha dato alla luce un’altra figlia, chiamata Maria Luigia, come la nonna materna. Finalmente, ai principi di giugno 1931, Vincenzo Coscia, cede alle sollecitazioni dalla sorella “Luigina” e dal fratello Francesco (zio Ciccillo); dopo un breve tirocinio, gli affida il compito di recarsi in Africa, come suo sostituto nella compra di conchiglie.
Mimì (Domenico) Borriello, del resto, parla praticamente due lingue: il francese, appreso fin dalla prima fanciullezza, durante le soste, con la madre ed il fratello Vincenzo, a Sfax (ivi nacque il fratello Giuseppe) nei periodi della pesca delle spugne, col trabaccolo paterno “la Giuseppina”; “mastica” l’inglese, che ha avuto modo di recepire durante gli imbarchi su navi battendo bandiera estera, e nelle sporadiche permanenze a New Orleans, New York, in America.
Ormai, commesso viaggiatore su navi mercantili, questa volta, da passeggero; non più da personale marittimo. Nei porti dell’Oceano Indiano, contatterà commercianti di varie etnie.
Farà acquisto di materia prima per l’artigianato torrese, reperibile in zone di pesca e le isole a sud dell’Equatore; al tempo stesso venderà manufatti ed articoli made in Italy, spingendosi fino a Città del Capo dove da decenni si è trasferito, con la famiglia, il tenore Michele Coscia, fratello di Vincenzo Coscia e Maria Luigia, suocera di Mimì. In quella città del South Africa, per di più, uno dei Coscia, Francesco, nipote, gestisce un negozio d’oreficeria e vendita di manufatti di corallo e cammei forniti dalla zio. Anche nell’isola di Madagascar, a Tulear, avrà il piacere, Pietro un altro nipote figlio del tenore, sposato con una giovane malgascia.
L’esito del primo viaggio di Mimì è abbastanza soddisfacente anche dal punto di prospettive future sulla potenzialità del mercato africano. Purtroppo, col rientro a Torre trova la famiglia in lutto. Zio Vincenzo è deceduto, il giorno dell’Epifania 1931, in seguito ad uno attacco di peritonite, aggravato, psicologicamente, da un angoscioso dissesto finanziario della succursale della ditta in America.
La vedova del defunto è depressa, per di più è incinta di una bimba (Rosa) di sei mesi, l’ultima di quattro maschietti (Francesco, Salvatore, Raimondo, Vittorio). Tutti in giovane età. Pensa sia opportuno cessare l’attività.
Sarà Mimì Borriello, il marito della nipote Carmela, a rincuorarla, spronarla a continuare. È pronto a darle tutta la collaborazione necessaria. Ormai, con l’esperienza del primo viaggio, si sente in condizioni di bene operare. Finalmente la strada da percorrere è quella che ha sempre ambito seguire. È capace di far fronte a tutte le difficoltà che si presenteranno.
Nasce così una nuova ditta. Quella di “Vincenzo Coscia” passa a denominarsi “Teresa Raiola vedova Coscia”, con sede in Torre del Greco, via Vittorio Veneto. La collaborazione con Domenico Borriello, sarà definita di “Capitale e Lavoro”.
Sarà la vedova Coscia a procurare i capitali iniziali per l’esercizio dell’attività mercantile, mentre Borriello espleterà il lavoro all’estero incentrato prevalentemente alla raccolto e l’approvvigionamento delle conchiglie lungo i litorali marini ed isole di pesca.
Lo stoccaggio e commercializzazione a Torre saranno gestite dalla vedova Coscia, con l’ausilio di mediatori validi e personale precario, capace di selezionare e assortire le conchiglie secondo la loro consistenza, che permette di ricavare pezzi per una glittica di qualità variegata. In effetto la signora Teresa Raiola è la Titolare dell’azienda legalmente riconosciuta e Domenico Borriello un “socio di fatto”. Alla fine di ogni affare si divideranno gli utili; questo in teoria, in pratica sarà zia Teresa a disporre del capitale a Torre, versando mensilmente, secondo le possibilità di cassa, alla nipote Carmela, moglie di Mimì, quanto possa avere bisogno una famiglia per una vita dignitosa.
Il raccoglitore di conchiglie
Lungo la dorsale del “Vesevo” Monte,
giù, da basaltico porto dell’incantevole golfo,
per Oceano lontano, parte,
in appoggio alla glittica torrese,
il raccoglitore di conchiglie.
Dopo un lungo navigare,
con canoa indigena, infine approda
su spiagge di sabbia dorata, immense.
Placida è l’onda;
della bassa marea è l’ora.
Mitica l’opprimente afa
una leggera brezza,
pregna di salsedine inebriante.
Occhi attenti,
raccoglitore allenato, captano,
al di la dell’arenile,
sott’acqua, a profondità discreta,
la presenza di molluschi
possessori di conchiglia.
Quelle del genere Casco,
alla luce del Sole,
rivelano l’armonia e la consistenza
dei tre strati della loro struttura,
e la diversità di colore:
strati di prismi calcarei e carbonato di calcio,
e di aragonite lamelle,
necessari affinché la figura
scolpita in rilievo su un cammeo,
grazie, anche, ai due diversi colori, emerga.
Del viscido invertebrato animale…
amaro destino:
privato dal guscio,
facile presa, sarà, a sua volta,
di predatori marini,
e dell’umana gastronomia,
in prelibate delizie afrodisiache.
Pur sempre, resta,
quale retaggio, della secrezione produttiva
del suo mantello:
la bella, armonica strutturata conchiglia;
nelle diverse varietà, da collezionisti ambite.
Come il corallo,
questo meravigliose guscio protettore,
conserva del mare l’incanto
ed il fascino del mondo subacqueo.
Anche se poche sono le specie
dalle caratteristiche necessarie
per la lavorazione dei cammei,
esse, insieme al corallo, alle pietre dure, all’avorio,
nella manifattura incisoria,
spesso eccelsa,
fanno onore e gloria
alla glittica di Torre del Greco,
città metropolitana di Napoli