Il Castello - Palazzo Baronale e poi Municipale  
 
Le origini del castello di Torre sono alquanto vaghe. Si sa che esso esisteva già nel 1418 quando la regina Giovanna II d'Angiò, bisognosa di denaro, lo diede in pegno al suo amante Sergianni Caracciolo dietro un prestito di 2000 ducati d'oro e che la stessa regina, estinto il debito, lo cedette ancora nell'anno seguente ad Antonio Carafa detto Malizia per un altro prestito di 1600 ducati d'oro.
Nelle lotte che seguirono fra Angioini e Aragonesi per la successione del Regno, la regina, per punire il Malizia fedele ai secondi, gli confiscò nel 1424 il castello, donandolo alla Curia Arcivescovile di Napoli.
Alfonso d'Aragona, conquistata Pozzuoli corse il 26 dicembre 1441 con una flotta ad espugnare il castello di Torre, tenuto dagli Angioini. Dopo un bombardamento dal mare, questo si arrese. Il re entro poi vittorioso a Napoli il 12 giugno 1442 instaurando anche qui la sua monarchia. lnnamorato del luogo e della giovane torrese Lucrezia d'Alagno, egli -come ricorda anche Francesco Balzano- dimorò spesso nel castello torrese e lo ampliò; in esso convocò parlamenti di baroni fra cui importante quello del 1449, ricevette ambascerie nel 1449 e 50, diede udienze e feste.
Francesco Carafa, primogenito del Malizia, dopo, molte insistenze, riuscì ad ottenere nel 1454 il castello ma non poté godere il pieno possesso, di questo e dovette rivolgere richiesta al papa Paolo II mentre la Curia napoletana considerava l'inutilità dell'edificio che era in cattive condizioni essendo "di fabbriche deboli assai e senza fortificazioni diruto e quasi cadente". Solo nel gennaio 1467 egli poteva vedere appagato il suo desiderio dietro promessa dell'offerta annua alla Curia di 100 libbre di cera lavorata, ottenendo nell'aprile seguente dal re Ferdinando I la conferma "in perpetuum", per sé e per i suoi eredi e successori, del possesso del castello con l'obbligo di ripararlo a sue spese. Egli, infatti, lo ristrutturò aprendo anche la sottostante strada del Barbacane per la costruzione dei contrafforti di sostegno,. Da allora possedettero pacificamente la dimora tutti gli utili padroni di Torre e comarca.
Il castello scorgeva su un alto promontorio erto sul mare.
Da una dettagliata descrizione fatta nel 1690 per l'estimo dei redditi dei beni e dei diritti che avevano goduto i padroni di Torre e comarca si apprende che il castello sito nell'estrema parte del quartiere Vico da mare, sopra la Ripa, aveva una porta d'ingresso che immetteva in un cortile scoperto che faceva da loggia e permetteva la veduta del mare, da Napoli alla penisola sorrentina, intorno a questo erano varie stanze, la cavallerizza capace di venticinque cavalli, il carcere maschile e quello femminile, una cucucina, una rimessa, un pozzo d'acqua sorgiva, il cellaio, i lavatoi... Una scala a due rampe conduceva all'appartamento del primo piano consistente in una grande sala, una cappella con varie stanze con balconi di ferro affaccianti sul cortile, due stanzette e altre stanze, una loggia a cinque arcate coperta, una loggetta panoramica scoperta.
Pietro Balzano nel suo libro "Il corallo e la sua pesca" precisa che la forma antica della costruzione era quadrangolare e chiudeva dentro di sé il largo spiazzo del cortile assai più ampio di quello di Castello Capuano, in Napoli, ma privo di porticati; che la parte di mare ai suoi tempi era interamente distrutta e solo si scorgeva in un trarupato burrone alcuni avanzi di interne fabbriche.
Col Riscatto del 1699 il castello passò in comune possesso delle tre Università di Torre, Resina e Portici. Il 14 giugno di tale anno il primo barone Giovanni Langella, prendendo possesso della sua carica onorifica, alla testa di un corteo composto dal Governatore, dagli Eletti torresi e dalla cittadinanza, mosse dalla chiesa di S. Croce e si recò in castello dove compì atti di imperio dimostrativi della sua podestà, fra cui l'apertura e chiusura delle finestre, l'amministrazione della giustizia con la scarcerazione di detenuti ivi imprigionati.
Essendo ancora tutto deteriorato, l'edificio nel 1711 fu messo in vendita e acquistato per intero, per sentimento patrio, dall'Università torrese, con la corresponsione di 1500 ducati per due terzi all'Università di Resina e per un terzo a quella di Portici. Così esso rimase esclusivo possesso di Torre e divenne sede del Governatore e alloggio dei soldati della Regia Corte e dal 1743 al 1756 anche dei baroni Langella.
Nel 1851 il castello divenne sede del municipio e subì in quel periodo una decisiva trasformazione: l'ala orientale che con la porta d'ingresso chiudeva parte del cortile arrivando fino all'orlo della scarpata, venne demolita con la conseguente creazione di un piazzale. Rimase in piedi, trasformata in palazzo ottocentesco, solo l'ala settentrionale sul lato del barbacane che vediamo oggi. All'interno, in gran parte adattato, sono varie stanze adibite ad uffici, al piano terreno; una scala, sovrastata da una grande statua in gesso di Garibaldi, copia di quella in bronzo di Tommaso Solari che è in piazza Luigi Palomba, si divide a metà in due rampe laterali e conduce al primo piano ove sono altre sale di ufficio e un salone per le sedute consiliari.
Raffaele Raimondo nel suo libro "Itinerari torresi" (II ediz. pag. 69) ha disegnato una pianta dimostrativa che può dare una chiara idea dell'insieme dell'antico edificio e far comprendere le varie trasformazioni da esso subite nel tempo.
Intorno al castello-palazzo municipale persiste, con la chiesa di S. Maria di Costantinopoli, una parte del quartiere di Vico di Mare, che faceva parte della vecchia città ed è rimasta indenne nell'eruzione del 1794: essa ha stretti vicoli e case spesso dotate di scale esterne o di archetti, tipiche di certi paesi rivieraschi e isolani del Mediterraneo.

tratto dal volume:

Ciro Di Cristo
Torre del Greco
Storia, tradizioni e immagini

Nuove Edizioni

   
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